L’intervista integrale è disponibile sul canale YouTube di Prime Video e presto anche sul sevizio, nella sezione dedicata allo sport. Di seguito alcune dichiarazioni di Clarence Seedorf ai microfoni di Prime Video:
Il mio sogno era di diventare giocatore della prima squadra dell’Ajax. Poi negli anni è arrivata anche la maglia bianca del Real Madrid.
Quando avevo 15 anni ho ricevuto una chiamata per andare a giocare per il Madrid e i miei genitori hanno deciso di tenermi vicino a casa, di finire la scuola e quindi queste due maglie sono state le prime ad avermi dato qualcosa di speciale.
Quella con la Sampdoria è stata la mia prima esperienza fuori dall’Olanda, in Italia. In Italia, che era il campionato più ambito in quel momento con 10 squadre super competitive in lotta per lo scudetto. La Sampdoria aveva appena giocato la finale di Champions League.
La Sampdoria mi ha dato tanto. Mi ha fatto capire cosa ci vuole per essere un giocatore forte anche all’estero (…) di quale mentalità hai bisogno, come adattarti alle nuove culture sia dentro che fuori dal campo. Con questo bagaglio sono andato a Madrid e mi sono adattato velocemente.
Poi il salto in Spagna, ‘97-‘98. Abbiamo fatto un anno particolare dove abbiamo sofferto molto durante il campionato ma in Champions – come il Real Madrid l’anno scorso che è stata una sorpresa partita dopo partita – quando siamo arrivati alle fasi a eliminazione abbiamo portato a casa una vittoria nella finale contro la Juventus dopo 33 anni (la settima del Madrid – ricordata con molto affetto) ha aperto un ciclo.
Al Real mi sono consolidato come giocatore a livello internazionale
Rientrato in Italia ho indossato la maglia dell’Inter dove sono stato due anni e mezzo e poi sono passato all’altra sponda. Non una cosa semplice. Ma io dico sempre che quando rispetti la maglia, e la indossi, poi la gente ti rispetta. Questo è quello che è successo a me con gli interisti.
Poi il club rossonero è stata la mia casa e in 10 anni abbiamo scritto tante belle pagine.
Durante gli anni che ho passato al Milan ha dimostrato di avere una capacità di essere concreto nel campo, rispettoso degli avversari, e ripeterò alcune parole che venivano dall’alto. Berlusconi diceva sempre che bisogna “essere più forte della sfortuna ed essere ambiziosi”. L’ambizione di voler vincere. Il Milan in quel periodo aveva una mentalità diversa, una convinzione e una autostima veramente alta. La mentalità, l’eleganza, la qualità e la capacità di capire i momenti dentro e fuori dal campo.
Di derby ne ho giocati tanti. La mia prima esperienza è stata Real Madrid – Barcellona, Supercoppa. Per una settimana la gente ha dormito per strada e in tenda per poter comprare un biglietto per la partita. Una tensione in città, un’aspettativa che io non ho mai visto da nessuna parte. E poi abbiamo vinto.
Il suo stile è quello di creare le condizioni migliori per i giocatori perché possano esprimere il loro talento. Non tutti gli allenatori lo fanno. Tanti allenatori creano le migliori condizioni per se stessi e i giocatori devono poi adattarsi.
Ancelotti ha sempre cercato di capire quali fossero le esigenze della squadra a livello tattico e individuale e poi trovava soluzioni. Vedi Pirlo, vedi Modrić e tanti altri a cui lui è riuscito a dare una posizione in campo che poteva farli rendere tanto.
Vedi anche me stesso. Io ero trequartista. Noi avevamo quattro trequartisti. Potevi essere creativo. E lui invece di scegliere chi tenere fuori e chi dentro ha deciso di averli tutti dentro. Ma è riuscito a trovare l’equilibrio. È una delle sue qualità principali.
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