È giunto con tre giornate d’anticipo, il secondo trionfo consecutivo della squadra condotta da Conte: gli ultimi punti li ha portati il successo, l’ottavo di fila, contro il Palermo. Ne bastava uno, ma al tecnico salentino e di conseguenza ai suoi uomini vincere non basta mai.
Subito pimpante padrona, la Juve, con Pirlo ispirato, Marchisio guerriero, Vidal dappertutto, Pogba dominante, soprattutto Asamoah che ha scherzato con Nelson, facendogli perdere spesso la bussola sul versante sinistro. Tutto il centrocampo sugli scudi, quindi, a dare ragione -se ce n’era ancora bisogno – a Conte, per la quarta volta consecutiva affidatosi al 3-5-1-1.
Tanto gioco e molti inserimenti, ma nessuna occasione sostanziale: la manovra bianconera si è fermata più volte al limite dell’area, frenata dall’ultimo passaggio sbagliato, bloccata dal muro- più per necessità contingente, che per strategia preventiva- eretto dai siciliani. Con il passare dei minuti, poi, è subentrato anche un certo leziosismo, poco concreto, che ha avuto come conseguenza il via libera a qualche contropiede rossonero: niente di eclatante, però, diversi calci piazzati ed un paio di tiri rimpallati. Se l’attacco del Palermo non fosse stato infastidito da problemi fisici irrisolti, i rischi sarebbero stati di certo maggiori.
Puoi non reggere il confronto atletico per 90′, ma, seppur mezzo infortunato, per mostrare le qualità basta un pallone. E Miccoli, di qualità, ne ha. È stato un diagonale destro del centravanti tascabile ad inaugurare la ripresa: deviazione provvidenziale di Buffon e palo scheggiato. Spavento e strigliata di Conte («Troppa superficialità!»). La reazione juventina non è stata niente di eccezionale, ma non c’è stato tempo di averne bisogno.
Al primo lancio in area, infatti, Donati si è dimenticato di frenare ed ha abbattuto Vucinic, inducendo l’arbitro ad indicare il rigore. Che in molti suoi colleghi non avrebbero comunque fischiato, specie dopo aver lasciato correre precedentemente in occasione di interventi simili. Fatto sta che sul dischetto è stato posizionato il pallone e Vidal – sempre lui, ancora lui – non si è fatto pregare, spiazzando Sorrentino: terzo rigore trasformato in 4 partite, quinto gol nelle stesse, titolo di capocannoniere bianconero (10 centri complessivi).
Per il cileno, anche gli applausi (ed il giallo) per la corsa ad abbracciare Pepe in tribuna: una dedica per lo sfortunato esterno laziale. Andata in vantaggio, la Juve ha continuato a giocare con leggerezza ed entusiasmo, sfiorando il raddoppio con Vucinic ed ancora Vidal (entrambi respinti dal portiere ex Chievo), soprattutto con Quagliarella che, appena entrato, ha centrato la traversa. Le ostilità sono di fatti presto finite, i festeggiamenti sono invece iniziati in un tripudio bianco-rosso-verde-nero. Il tocco cupo, oltre alla tonalità di casa juventina, per l’espulsione meritata da Pogba (impressionante, a livello di prestazione), caduto nella solita provocazione di Aronica ed in uno sputo troppo palese per poter passare inosservato.
Una macchia che ha sporcato il finale del francese, non di certo la sua stagione straordinaria. Figurarsi la vittoria bianconera, che è partita al triplice fischio: “31″ dappertutto, Conte con figlia (Vittoria…), invasione inevitabile, champagne a iosa e maglia celebrativa.
Juve campione, via alla festa.
[Giuseppe Piegari – Fonte: www.goalnews24.it]
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