CATANIA – Diciamolo pure: forse ci aveva abituati sin troppo bene. Anzi benissimo. 13 gol in 25 partite di serie A, un campione sceso a Roma con l’umiltà di un ragazzino, lui che un ragazzino, ormai, non lo è più. È sceso da Monaco di Baviera con la voglia di rimettersi in gioco dopo un paio di stagioni sottotono (appena 4 gol in oltre 40 partite), in pochi avrebbero scommesso sul rendimento straordinario di Miroslav Klose. Un giocatore così dalle parti di Formello non si vedeva dai tempi d’oro, quelli in cui la gente Laziale gioiva per le gesta dei vari Veron, Nedved, Mancini e Simeone. Un giocatore che però, dopo oltre mezzo campionato vissuto da protagonista, a Catania ha alzato bandiera bianca. Nel primo tempo non si è praticamente mai visto, Legrottaglie e Spolli lo hanno controllato senza troppi patemi d’animo, di palloni giocabili neanche l’ombra. Il tedesco, allora, ha provato a mettersi a disposizione, come di consueto. Ha cercato di elargire suggerimenti ai propri compagni, ha preso da parte Candreva, Mauri ed Hernanes, dall’alto della sua esperienza ha tentato di scuoterli, ha chiesto maggiore precisione negli ultimi 20 metri. Messaggio spedito e recepito in pochi minuti. Nella seconda parte del primo tempo e ad inizio ripresa, infatti, la Lazio ha alzato il proprio baricentro, mettendo pressione ai centrocampisti del Catania e creando diverse palle gol grazie agli inserimenti dei suoi uomini offensivi.
Tre di queste sono capitate sui piedi di Klose che, però, stavolta, ha mancato clamorosamente l’appuntamento con il gol: in una circostanza, la più nitida, lanciato dal rinvio di Radu, tutto solo davanti a Carrizo ha svirgolato con il sinistro consentendo il salvataggio alla difesa rossazzurra. In un’altra, lanciato in velocità e ritrovatosi nuovamente davanti al portiere argentino, ha calciato malamente alto al volo. Ci si sono messe, poi, anche uno stop errato in area di rigore, l’ammonizione e il piccolo battibecco con Ricchiuti nel finale a condire amaramente la giornata no del Panzer, irriconoscibile al Massimino. L’extraterrestre è, dunque, tornato sulla Terra. Fin qui aveva confezionato e realizzato perle su perle; questa volta, parafrasando un detto tipico delle relazioni di coppia, ha deciso di prendersi una pausa di riflessione.
Una riflessione, però, più fisica che altro. Non segna ormai da tre partite consecutive, è rimasto a secco contro la Roma, il Bologna e la squadra di Montella. In stagione periodi come questi sono capitati molto di rado: difficilmente, infatti, l’ex Bayern resta a digiuno per più di due partite consecutive. È successo solamente una volta, con Genoa, Cesena e Palermo nel mese di gennaio (a cavallo tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre era infatti infortunato e fu costretto a saltare le sfide con Napoli, Juventus e Novara). Klose, oltre all’obiettivo Champions League, ha messo nel mirino il record che stabilì con la maglia del Werder Brema nella stagione 2005/2006 (25 reti in 26 partite) e quello con il Kaiserslautern nel 2001/2002 (16 in 31 gare). E’ un tipo ambizioso e non sarà certo un periodo di appannamento fisico come questo (lecito dopo aver dato davvero tutto fino a questo momento) a fermare la sete di successo del secondo attaccante più prolifico della storia della Germania.
La Lazio non può prescindere dalla forza, dalla tenacia, dal carattere, dal carisma, dall’esperienza e dai gol del suo leader silenzioso, colui che le ha regalato due delle gioie stagionali nell’appuntamento più importante e sentito della città di Roma. Un leader che sa come raggiungere i traguardi più prestigiosi e che, difficilmente, quando si prefigge un obiettivo, non riesce a centrarlo. Il suo palmares parla chiaro, i numeri sono dalla sua parte. I suoi gol, da qui al 13 maggio, faranno nuovamente la differenza tra il Paradiso e il Purgatorio. Una fermata, anche se brusca, ci può stare. La Lazio si aggrappa a Miro Klose per continuare a sognare.
[Riccardo Mancini – Fonte: www.lalaziosiamonoi.it]
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