ROMA – Era la sera del 7 marzo quando ho alzato l’asticella delle “rivendicazioni” chiedendo, a tutti quelli che potevano decidere, di sospendere il calcio giocato. Ho preso in due giorni schiaffi da tutte le parti e sì, hai ragione, siamo stati inconcludenti. Ha fatto di più il Coronavirus che le nostre tante parole, parole, parole. Qualche dirigente sportivo mi ha accusato di fare del terrorismo, più o meno come quelli che ora dicono che «vuole chiudere qui la stagione, quando tanti vorrebbero giocare». Ho imparato una cosa dall’epidemia: che il nostro volere e i nostri programmi futuri sono puro esercizio dialettico, l’agenda la detta il Coronavirus, purtroppo. Nella vicenda Juve nessuno ha scavalcato nessuno ma siamo stati costantemente aggiornati e quando calciatori e club vanno d’accordo non vedo perché l’AIC si debba sentire accantonata. Lavoriamo per questo, far andare d’accordo club e calciatori. FiFpro (più di 60 Paesi associati), non so quale sia la linea che io non condivido (magari la prossima corrispondenza), ma essendo nel consiglio direttivo comunico costantemente con loro.
Ho messo in guardia tutti, soprattutto gli europei, sui rischi di continuare l’attività e gli allenamenti. Erano i giorni in cui si tentava di riaprire gli aeroporti di Siviglia e Madrid per far viaggiare Roma e Getafe. Sembra un tempo molto lontano. Ho già provveduto a porre la questione degli aiuti ai Paesi colpiti e non dubito che se ne parlerà concretamente. Non so cosa intendi, e finisco con le premesse, con “un politico è lontano dalla gente” ma in questo mi permetto una citazione che forse riassume esattamente cosa intenda io quando parlo di politica. «Ho insegnato ai miei ragazzi che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne da soli è l’avarizia. Sortirne tutti insieme è la politica». Don L. Milani. Questo è il tempo della politica così intesa. “Sortirne tutti insieme” perché “il problema degli altri è uguale al mio”.
E qui viene l’analisi del momento, il ruolo dell’AIC e chi rappresenta. La storia che studieranno i nostri nipoti parlerà dell’attuale dilemma, emergenza sanitaria ed emergenza economica quali le priorità? Credo che anche nel calcio, la tanto raccontata settima industria del Paese, si stia viaggiando tra queste due tensioni. Come dici, dovrò volente o nolente rappresentare la categoria ancora qualche mese e dovremo, insieme agli altri dirigenti, fare scelte e agire anche a costo di apparire inconcludenti. Il ruolo che abbiamo oggi è guidare calciatori e calciatrici in questo dilemma, emergenza sanitaria ed emergenza economica, dando le giuste priorità. Il nostro compito è quello di fare sintesi delle posizioni degli associati cercando, non tanto di dire quello che si vogliono sentir dire, ma fare quello che è più corretto fare. A volte le due cose non coincidono. Rimane il dibattito su cosa sia “corretto” o no e qui sta il ruolo di responsabile. Fare scelte giuste, a volte impopolari, ma con una prospettiva più lontana dell’appuntamento elettorale.
L’idea che mi sono fatto è che le considerazioni attuali su tagli a stipendi o meno, chiusura anticipata o meno, giocare d’estate o meno, siano, ad oggi, per l’80% con priorità all’emergenza economica e per il 20% all’emergenza sanitaria. E questo da tutte le parti. Calciatori, dirigenti, presidenti, tv, giornali, sponsor. Ricominciare il campionato per ridurre le perdite, finire la stagione sul campo per non avere ricorsi, continuare ad allenarsi per avere diritto allo stipendio, ritrasmettere le partite per avere l’audience, raccontare le partite per riconquistare il pubblico ma anche il contrario, chiudere il campionato per non pagare nessuno o annullare la stagione per non retrocedere. Tutti costretti, chi più chi meno, da un’emergenza economica che sembra stia facendo più male dell’emergenza sanitaria. Ho quasi l’impressione, anche, che in questi giorni quelli che pensano invertendo le percentuali siano visti come disadattati, illusi, sognatori o privilegiati perché «bisogna riaprire sennò si fallisce» e «il Governo non può impedirmi di lavorare».
È un terreno scivolosissimo ma sarà il vero problema da qui in avanti. La chiusura totale è relativamente facile da condividere, sarà l’apertura graduale che ci farà litigare. Limitandomi al calcio quando si potrà giocare? Inutile ribadire per l’ennesima volta che tutti noi vogliamo giocare, come tutti noi vogliamo andare al mare e tutti noi vogliamo riaprire le scuole. Ma quale sarà il giusto livello di sicurezza? Quando sarà il tempo in cui non avremo rischi per la salute? E non mi riferisco solo alla salute degli atleti. Temo, infatti, che la vera discussione non riguarderà il contatto fisico o meno, le porte aperte o meno ma sarà su viaggiare o meno e se sì come.
A Lecce alcuni casi di positività sono stati riscontrati nel ristorante frequentato dai tifosi atalantini, tutti controllati nel pre-partita. Su chi rappresenti l’AIC sarò breve e riconfermo che i calciatori faranno la loro parte. Dobbiamo solo capire quale è la parte dei calciatori: soci quando c’è crisi e dipendenti quando si vince? AIC rappresenta proprio questo, i principali attori di uno spettacolo sportivo che dovrebbero essere un po’ più soci e un po’ meno dipendenti, nella buona e nella cattiva sorte. Per finire il mio cruccio è: ma le percentuali di cui sopra saranno mai invertite? Credo che l’epidemia in corso ci stia dicendo proprio questo, invertite le priorità. In questo, mi spiace dirlo, seguendo i ragionamenti e le riflessioni, vedendo e sentendo i commenti, le critiche e le soluzioni proposte, temo che lo slogan ottimistico del “tornerà tutto come prima!” sarà invece, per il calcio, una triste conclusione
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