Ci sono momenti nella vita e nel calcio in cui la storia può tramutarsi in leggenda oppure sprofondare in uno psicodramma nazionale. Ci sono momenti in cui un’intera Nazione ripone le speranze calcistiche e non, in uomo solo. Ci sono finali che possono essere giocate una volta sola e che non tornano più indietro. Ci sono, infine, calci di rigore che devono essere calciati e magari anche segnati. Ne sa qualcosa Leo Messi.
Nella notte, a East Rutherford, si è consumato l’ennesimo psicodramma di un fuoriclasse assoluto che con il Barcellona ha vinto e rivinto tutto più e più volte ma con l’Argentina il vuoto più totale. Il rigore calciato in curva, la maglia quasi strappata dalla rabbia e le lacrime sono l’emblema della disperazione Albiceleste che adesso vede salire a tre il numero di finali consecutive perse, due negli ultimi due anni sempre contro il Cile. C’è chi parla di maledizione e forse qualcuno ci crede anche. Il simbolo della sconfitta dell’Argentina è il pianto di Messi, del capitano, del leader silenzioso capace di trascinare la sua squadra con cinque reti nei turni precedenti. Poi arriva la finale e la tensione cresce a fino a bloccare corpo e mente di chi ha sul groppone più di 500 partite tra club e Nazionale. C’è un intera nazione a guardarlo, che crede in lui, che ripone le speranze in quel piccolo uomo di 170cm con la barba. Troppa pressione, troppa paura di fallire ancora. Fatto sta che il cammino di Messi con la Nazionale assomiglia ad un sogno in cui c’è sempre qualcuno che impedisce di prendere l’oggetto desiderato, il quale si allontana sempre di più.
E’ cosi Leo si ritrova a passare a pochi centimetri da quella coppa che però non solleverà nemmeno questa volta in cui tutto sembrava andare bene come il record di gol con la maglia dell’Argentina. Ma forse non è tutto oro quel che luccica. Forse, ciò che fa più male nelle lacrime di Messi, è il volto di un ragazzo introverso e silenzioso capace diverso dallo stile “Maradoniano”, lui è un leader silenzioso che parla con i piedi ma forse da quelle parti non basta. Ci vuole carattere e carisma. Le dichiarazioni a fine partita lasciano di stucco con il “Diez” che vuole lasciare la Nazionale ma sarebbe troppo facile cosi. Un vero capitano non si arrende mai, non lascia la sua barca sperduta nell’oceano di sconfitte. Torna a bordo, prende il timone e ricomincia a guidare i suoi uomini verso il Mondiale 2018. E pazienza se non arriverà nemmeno quello ma ci sarà la consapevolezza di averci provato, di averci creduto, pianto e combattuto. Perché alla fine il calcio è cosi, qualcosa di illogico che non ha regole scritte da nessuna parte, qualcosa che può cambiare cosi in fretta che non te ne accorgi neanche.
Non lo abbiamo mai visto spento come ieri sera Leo. Con il volto pieno di lacrime e tristezza, delusione e rabbia. La voglia di lottare scomparsa nel momento in cui Bravo para il rigore a Biglia. Lui già sapeva come sarebbe andata, con un’altra medaglia d’argento. La prende, la toglie subito, si siede in panchina e con le mani al volto piange. Ma quelle lacrime sono di ogni singolo argentino e anche di più. Non può finire cosi, non deve. Quindi, da ogni amante del calcio che si rispetti, asciugati quelle lacrime Leo, non tradire il popolo, alzati da li, indossa di nuovo la fascia della tua Nazionale e torna a lottare e a correre rendendo sempre più fiera l’argentina. E non importa se quel trofeo con la Nazionale non arriverà perché tu sei già Leggenda.
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