STORIA – Estroverso, mai presuntuoso, religioso e con la testa sulle spalle, amante dei videogiochi e con alle spalle un’infanzia fatta di povertà e sacrifici. Sa da dove viene e dove vuole arrivare il nuovo talento di casa Lazio, le sfide non lo spaventano. Anzi: “Esordire a 17 anni nel Santos non è stato facile. Indossare la maglia numero 10, quella di Pelè, è una responsabilità e la pressione era tanta. Devo ringraziare la mia famiglia per essermi sempre stata accanto”. Felipe Anderson è nato il 15 aprile del 1993 a Brasilia, i primi calci al pallone li tira in strada e subito impressiona. Il giovane Felipe cresce indossando le maglie di squadre minori e a 14 anni comincia a mostrare doti fuori dal comune tra le fila del Club Recrativo Gaminha. Prestazioni che attirano le attenzioni del Coritiba prima e del Santos poi che nel 2007 lo acquista e lo inserisce nelle proprie giovanili. L’esordio in prima squadra arriva tre anni dopo, il 6 ottobre 2010 in un match che il Peixe vince 3-0 contro la Fluminense, mentre per la prima rete bisogna aspettare altri 11 mesi: Felipe segna contro l’Avaì (e che gol) e comincia la sua ascesa. Nel 2011 colleziona 19 presenze, dimostra di avere qualità, di sapersi adattare in più zone del campo, tanto che il Peixe decide di affidargli la maglia che fu di Pelè. La leggenda sulle spalle, la leggenda che lo tiene d’occhio e di lui dice: “Ha talento e grandi margini di miglioramento, tutti gli ingredienti necessari per diventare una stella”. Nel 2012 esplode, il Santos si accorge di avere in casa una gioiello, un giocatore in grado di sostituire Ganso e affiancare Neymar di cui è grande amico. 39 presenze tra campionato e Libertadores e sei gol sono il bottino della miglior stagione di Anderson. Nel 2013 il calo, coinciso con il mancato approdo alla Lazio a gennaio, un sogno spezzato che ha incrinato il rapporto tra l’ambiente santista e il giocatore. Solo cinque presenze, tanta panchina e i titoli di coda a una storia bella e intensa. Anderson era con la testa già a Roma, voglioso di confrontarsi con una nuova sfida, di misurarsi con il palcoscenico europeo, di giocare accanto a campioni come Klose ed Hernanes.
TALENTO – Indiscutibile. Eppure intorno al nuovo acquisto della Lazio lo scetticismo è tangibile. Gioca poco. Si dice. Faceva panchina nel Santos. Si ribadisce. Ma Felipe Anderson sbarca a Roma a 20 anni con un curriculum da far invidia a molti. 110 presenze nel Santos (insieme al San Paolo il club più titolato del Brasile), una Copa Libertadores vinta nel 2011 e una Recopa conquistata l’anno successivo, più due titoli Paulisti. Non proprio bazzecole. Anderson è uno dei talenti più fulgidi del panorama verdeoro, tempo fa il Milan fu sul punto di portarselo a casa nell’ambito di un’operazione che vedeva coinvolti anche il portiere Rafael e Robinho. Braida lo visionò, rimase estasiato dalle doti di questo brasiliano atipico. Ed è forse questo uno dei motivi dell’amore mai esploso tra il ragazzo e la torcida del Santos. Felipe fa parte di un nuovo corso di talenti verdeoro, come lui Oscar, Bernard. Poco appariscenti, non certo star in stile Neymar, ma gemme da custodire e valorizzare, in grado di diventare gioielli di inestimabile valore. Anderson è un centrocampista concreto, ha impostazione quasi europea, predilige la giocata semplice ed efficace a quella a effetto ma rischiosa, è duttile sapendo muoversi in diverse zone del campo, giocatore intelligente, ambidestro e con una facilità di calcio impressionante, bruciante sullo scatto, con gran passo sulle distanze più ampie cioè quando attacca lo spazio in profondità. Deve migliorare Felipe, deve imparare a esprimersi con continuità, è questo ancora il suo limite. Ma ha 20 anni e tutto il tempo per crescere. Nasce mezzala sinistra, centrocampista rapido e con spiccate doti d’inserimento. Il piede, però, è sopraffino, così come la conduzione del pallone e dunque l’evoluzione in “10” è naturale. Non solo. Può giocare anche da esterno offensivo, è un factotum della linea di trequarti, un gioiello capace di adattarsi in ogni contesto là davanti. Tare se n’è innamorato poco meno di un anno fa, quando Felipe era una delle colonne del Santos di Ramalho, impressionato dalle qualità di un ’93 con doti fuori dal comune. Ha annotato il nome del talento di Brasilia in cima al proprio taccuino, è diventato un chiodo fisso. Il direttore sportivo vede in lui un diamante sul quale lavorare, Petkovic ne ha avallato l’acquisto, affascinato dalla sfida di renderlo un campione vero. Il ragazzo avrà bisogno di tempo per ambientarsi, il ritiro servirà a questo, a conoscere una realtà nuova ed esigente. Poi sarà subito Juve, un battesimo del fuoco con in palio la Supercoppa Italiana. Una partita da predestinati.
[Marco Valerio Bava –
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