E’ gradevole osservare tutto il fervore scatenato dal Mondiale per Club della Fifa, oggi, nel 2010. E’ diventato il Grande Spartiacque della Stagione, il Torneo che incorona la Squadra più Forte del Mondo, la Coppa più importante dell’intero Pianeta. E’ tutto molto bello, si diceva una volta. Non è mai troppo tardi, si dice oggi. Tre anni fa, ad esempio, era il torneo di plastica, una manifestazione fuori moda, un torneo allargato a squadre trovate nelle patatine. Sì, insomma, tre anni fa era il Torneo dell’Amicizia. E il riferimento, sia ben chiaro, non è a Roberto Mancini.
Il tecnico di Jesi, tre anni fa, con quella definizione si riferiva solo ed esclusivamente alle partite che precedevano la sfida fra la squadra europea e quella sudamericana, parlava delle partite fra iraniani e neozelandesi, non della Finale, in quel caso fra Milan e Boca Juniors, che a suo giudizio, ribadito nella versione originale e in altre sedi in seguito, aveva il giusto valore. Tanto è vero che, al ritorno in Italia del Milan campione del mondo, fu proprio Mancini a proporre al presidente Moratti di accogliere i rossoneri disponendosi ai lati del sottopassaggio di San Siro prima del derby natalizio, applaudendo l’ingresso in campo del Milan. Non è questo il punto.
Altra cosa è invece l’uso che l’ambiente attorno a Mancini fece di quella definizione, trasformandola in una bandiera, in uno sfottò, ritenendo che non ci si sarebbe mai abbassati a dare importanza ad una competizione del genere. Senza guardare troppo per il sottile, il Milan aveva vinto la coppa dell’amicizia, alzare quella coppa non significava essere la squadra più forte del mondo, era assurdo che il Milan fondasse la stagione su una competizione di due sole partite e la stagione fino a quel punto deficitaria in Campionato non sarebbe stata salvata da quella vittoria. Tutti discorsi che tre anni fa piovevano addosso al Milan da tutte le parti e da tutti i luoghi in cui si faceva opinione e informazione sportiva. Tutti discorsi, naturalmente, che oggi si sono dissolti come neve al sole. Oggi il Mondiale per Club non lo gioca il Milan, e come per incanto le stesse persone che scandivano, scrivevano e amplificavano quei discorsi sostengono l’esatto contrario. Pace e bene a tutti.
Torniamo sul 2007, anche per quanto riguarda il versante opposto, e cioè quello rossonero. Ovvero: l’Inter 2009-2010, quella della Tripletta (termine splendido, molto meglio rispetto a quello scelto per omaggiare lo Special che non a caso oscura l’Inter pro domo sua), è stata forte, fortissima, eccezionale. Però la magia della sua annata straordinaria non è scoccata al punto da vincere tutto. Con tutto il rispetto per lo Scudetto e per la Coppa Italia, poi, sulla scena euro-mondiale, si viene giudicati per tutto il resto. Ed è su questo piano che, con ogni probabilità, i tifosi del Milan non hanno apprezzato fino in fondo quello di cui hanno beneficiato tre anni fa. Comunque vada ad Abu Dhabi, i quattro colpi pesanti messi a segno dal Milan nel 2007 (Champions League, Supercoppa Europea, Pallone d’Oro e Mondiale per Club) non saranno eguagliati da una pur fortissima e forse irripetibile Inter.
Per questo motivo, forse, i milanisti avrebbero fatto meglio a godersi alla grande l’en plein ad alto livello del 2007, di cui fa parte anche il Pallone d’Oro perché il singolo che lo conquista è sempre espressione di una squadra che vince nel suo complesso, invece di pensare che fosse roba vecchia, da bollare come retorica di regime o qualcosa del genere. Ricordo benissimo che in quell’anno quando il Milan iniziò a lavorare su tutti i fronti, logistica, atletica, medicina, climatologia, strategia per il fuso orario e quant’altro, una voce autorevolissima e molto rossonera come Paolo Maldini si levò alta nel cielo per sostenere che era assurdo fondare il significato di una stagione solo sul Mondiale. E ricordo bene che il consenso, non rossonero ma anche rossonero, per Paolo Maldini era totale e che quando Adriano Galliani provava a spiegare che per il Milan era importante vincere il Mondiale, torneo che non capita tutti gli anni di disputare, anche per raggiungere il trofeo internazionale numero 18, veniva subissato di critiche. Oggi, forse, il tifoso milanista capisce che dei temi su cui provavano dall’esterno a dividere il suo ambiente, si sono appropriati a tutto spiano i diretti rivali.
Si nota una certa differenza, in questa stagione, fra le piazze che rigenerano e le piazze che spremono. Genova ha rilanciato e tirato a lucido un certo Pazzini, che oggi fa gol a raffica contro chiunque e che a Firenze era finito malinconicamente in tribuna; Bologna ha fatto con Marco Di Vaio (valorizzato poco prima dal Grifone genoano solo in Serie B e non nella massima serie) esattamente quello che aveva fatto con Roberto Baggio e con Beppe Signori, ha cioè ricreato un mito mettendolo in condizione di raggiungere vette fra le più alte della propria pur importante carriera; Parma ha smentito le sentenze tranciate a Milano e non solo a Milano su Hernan Crespo, sbattendo nuovamente in prima pagina la classe e la qualità di un bomber che oggi come oggi appare senza tempo e senza età.
Attenzione, però: prima che le brame dell’ormai prossimo mercato di Gennaio si scatenino su questi giocatori, ci si ricordi che nelle squadre in cui sono tornati in primo piano giocano sempre, hanno tutto il fronte offensivo a loro disposizione, non hanno grande concorrenza, sono amati dall’intera città e sono leader dello spogliatoio. E’ molto probabile che, se dovessero tornare nell’agone della grande piazza mediatica senza tutte queste condizioni di fondo, non riescano a ripetersi e che possano fare la fine di Amauri a Torino, di Cruz a Roma con la Lazio, dello stesso Gilardino a Milano con il Milan. Il mercato è famelico, vorace, non tiene conto di equilibri acquisiti e di crisi di rigetto. Attenzione.
[Mauro Suma – Fonte: www.tuttomercatoweb.com]
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