Oggi si parla di Massimiliano Allegri come l’allenatore che ha saputo plasmare, sul campo e nello spogliatoio, il nuovo Milan sapientemente rifondato e rinvigorito nelle ultime due sessioni di mercato, da Berlusconi e Galliani.
All’inizio della stagione, però, in pochi avevano scommesso che il giovane allenatore toscano avrebbe avuto le capacità tecniche e il carisma per dirigere un gruppo così variegato di fuoriclasse assoluti come il Milan, portandolo, a dieci partite dalla fine, al primo posto con cinque punti di vantaggio sull’Inter del penta-triplete. Oggi, gli elogi, per l’ex “acciuga” di Livorno, si sprecano e nessuno più può mettere in dubbio che Allegri è stato capace di affascinare tutti i calciatori rossoneri con le sue conoscenze tattiche, ma anche con la sua capacità di imporsi con un leale dialogo e con il sorriso sulle labbra, sia nello spogliatoio, che nelle altolocate stanze di Palazzo Chigi e negli uffici di via Turati, dove, Galliani, per allineare i tanti trofei nelle bacheche, è costretto a sovrapporre le “orecchie” di alcuni di loro. Ma, chi era Allegri prima di dimostrarsi un genio così precoce della panchina da passare in sei anni dall’Aglianese al Milan?
Nella mia, ormai, lunga esperienza di dirigente, penso di aver impresso una svolta importante nelle carriere e nelle vite di tanti calciatori, che, per mia e loro fortuna, in alcuni casi, sono diventati anche campioni di grande livello. A partire dall’inizio degli anni 80, sono tante le storie da raccontare di calciatori, che inizialmente venivano considerati semplici “scommesse”, trasformandosi, poi, in autentici fuoriclasse da Nazionale e qualcuno diventando persino campione del Mondo. Ognuno di quei piccoli romanzi, lo porto nella mente e nel cuore, quasi con il timore di dimenticarlo, ma, la storia di Allegri giocatore, nonostante non sia la più importante di tutte, mi passa davanti agli occhi così nitida, da sembrare un film visto da pochi giorni.
All’inizio dell’estate del 1991, fui chiamato dall’allora presidente del Pescara, Pietro Scibilia, imprenditore gentiluomo, a rilanciare, insieme all’allenatore Galeone, la squadra abruzzese, che navigava in serie B, oppressa dai debiti precedenti. Fummo costretti a scommettere su tanti giovani di C per risanare il bilancio, ma, per fortuna, una stagione che doveva essere di transizione e di risanamento, si trasformò in un’autentica galoppata in serie A. Quell’estate l’allenatore Galeone mi chiese, imprescindibilmente, un giocatore che avevamo visto all’opera nel Pavia, quel Frederic Massara (oggi dirigente del Palermo), un’ala dalle gambe corte e veloci, adatta al modulo di gioco (4-3-3) del tecnico. Prendere Massara, però, non era facile, perché i proprietari del Pavia, gli amici Giusy e Claudio Achilli, avevano già promesso il calciatore a Zamparini, all’epoca presidente del Venezia in serie B. Per il nostro progetto, Massara era fondamentale e gli Achilli mi fecero capire che, se avessi comprato anche un altro giocatore del Pavia, dandogli una valutazione di 400 milioni di lire, loro avrebbero potuto colmare il deficit societario e avrebbero avuto una buona motivazione per svincolarsi dall’impegno con il Venezia.
Guardando la lista dei calciatori del Pavia, notai il nome del già 24enne Allegri, che il grande maestro Allodi, due anni prima, aveva voluto che io visionassi quando giocava nella Pro Livorno, di cui Italo era divenuto consulente, perché lo riteneva un giocatore dotato di tanto talento e di un carattere un po’ scanzonato. Tanta era la voglia di prendere Massara, che Allegri (che avevo visto una sola volta), con tanto coraggio e fantasia, me lo ricordai somigliante ad Antognoni. In poche ore vendetti il centrocampista Fabrizio Fioretti al Piacenza, ricavando in un colpo più di quello che serviva per comprare Massara ed Allegri e, con un unico blitz, chiusi l’operazione con il Pavia. Le urla e le invettive di Zamparini e del suo compianto d.s. Bianchi (detto “vulcano”) rimbalzarono dal Veneto sino all’Abruzzo. Inizialmente fui elogiato per l’acquisto di Massara, ma, dopo un paio d’anni, il vero affare si rivelò Allegri, che, oggi paragonerei più ad Hamsik che ad Antognoni. Galeone, quando gli comunicai la notizia, esclamò, con un pizzico di ironia: “Ma come, ti avevo chiesti di prendermi un giocatore e me ne porti due?”. Tuttavia, dopo solo due giorni di ritiro precampionato, il tecnico napoletano di nascita e friulano di adozione, mi confidò: “Allegri è la più forte mezz’ala che ho allenato nella mia carriera”.
La storia di Allegri, passa attraverso le sue capacità, allora già evidenti, di essere allenatore in campo. Mentre assorbiva da Galeone il suo credo tattico, giocando al fianco di Carlos Dunga, che, approdati in serie A, volli al Pescara, imparava altri preziosi segreti. Il suo romanzo di calciatore, si arricchisce nell’anno del debutto in A, di ben dodici gol segnati da centrocampista, imponendosi nel 92-93 come giocatore rivelazione del massimo campionato. Questo mi permise di realizzare un grandissimo affare, convincendo il nuovo e giovane presidente del Cagliari, Massimo Cellino, ad acquistare Allegri, per l’allora iperbolica cifra di 7 miliardi di lire. Il primo incontro di Allegri con Cellino, in mia presenza, all’Hotel Gallia di Milano, dove concludemmo l’affare, mi torna in mente oggi, come un incrocio nevralgico, per la vita di Allegri, fra il giocatore di allora e l’allenatore di oggi.
[Pierpaolo Marino – Fonte: www.tuttomercatoweb.com]