Indomiti. Il carattere non ha mai fatto difetto a questa squadra. Un partita da inserire nelle perle della gloriosa storia nerazzurra, anche per merito di un avversario degno di tale proscenio. E la dimostrazione impartita domenica pomeriggio ne è stata la più verace testimonianza. Il remake, seppur disegnato da dinamiche difformi, ha ricordato un Inter-Sampdoria datato stagione 2004/2005 e un rimonta sconsigliata ai deboli di cuore. I campioni del mondo non lasciano mai nulla al caso, disfacendo immediatamente, per poi andare a prendersi l’intera posta in palio. Esaltante, mai banale, l’Inter odierna vive su equilibri effimeri.
Incertezze accompagnate da reazioni pugnaci, rabbiose in alcuni frangenti, annichilite dallo score realizzativo della compagine rosanero e dalla mancanza di lucidità nell’area avversaria (retaggio che aveva accompagnato in diverse occasioni la stessa Inter del “triplete”), che saltuariamente ricompare a stoppare propositi di “leomuntada” accennata. Il risultato del primo tempo aveva premiato oltre ogni ragionevole merito la compagine rosanero. L’Inter però ha sprizzato vitalità, incurante dello svantaggio iniziale e le occasioni per riequilibrare il match erano apparse subito evidenti. La ripresa del gioco non ha fatto altro che elevare le convinzioni intraviste.
L’Inter borderline infatti si è ripresentata sul terreno amico del “Meazza”, vestita di nuovo: Pazzini, coadiuvato dall’utile mestierante Kharja, e l’intuizione immediata di un peso specifico che può spostare inevitabilmente equilibri e potenzialità offensive è subito evidente, con buona pace del pensiero “siamo a posto così” che aveva accompagnato gli ultimi mesi di Corso Vittorio Emanuele. Le strattonate fisiche, tecniche e morali hanno avuto il merito di influire sull’ambiente intero. E quando si miscela empatia, il salotto, spesso naif, di San Siro si trasforma dilatandosi a macchia d’olio sulle stesse certezze degli avversari di turno, volenti o nolenti. Giampaolo Pazzini, che difficilmente potrà cancellare tali sensazioni, eroe di giornata, con l’auspicio che quella odierna possa essere soltanto la prima di un interminabile elenco da rimembrare ai posteri. L’attaccante di Pescia, implementa la rabbia accumulata dalla squadra in un primo tempo avaro di buona sorte e deflagra in tutto il suo dilagante entusiasmo per dimostrare che il peso di un maglia si valuta anche da questi particolari: coraggio, altruismo, fantasia, e rabbia, tantissima rabbia. Un Pazzo nella squadra mattana per antonomasia: il destino nel nome. Neanche il demiurgo più visionario avrebbe potuto scrivere copione più intrigante. E se il destino accompagna così dolcemente un esordio, non saranno fiori, ma titoli, per un famelico anelito, prerogativa di Zanetti e compagni. Agli obnubilati che non hanno perso occasione per rimarcare la dea bendata, fiera alleata dei campioni nerazzurri, rispondo semplicemente che sarebbe bastato osservare la piacevolissima partita per affossare gli inutili se e altrettanti ma che da sempre accompagnano il cicaleccio da bar-sport, inclusi episodi arbitrali, leitmotiv pretestuoso per giustificare una sconfitta. Ma contro ondivaghi e abbacinati imperanti non c’è partita. Accompagnati da contrastanti sensazioni, il verdetto dopo la partita di domenica ha confermato che l’Inter è più che mai viva, tra pregi e difetti, ma enormemente presente. I rivali, o presunti tali, se ne faranno una ragione. Il tempo dei verdetti è ancora lontano e la storia, non sempre, ma qualche volta si ripete.
Capitolo mercato. Dopo le aspre e doverose critiche subite per una totale assenza nella finestra estiva, Branca e compagni hanno compiuto un piccolo capolavoro. La volontà societaria di intervenire per rattoppare le crepe create dalla dissennata gestione post-triplete una piacevole sorpresa. Stagione di transizione non significa necessariamente farsi attraversare, inermi, dagli eventi. Troppo evidenti le mancanze di una rosa che nel massimo momento di difficoltà, coinciso con la moria di elementi afflitti da stiramenti vari (fine ottobre, novembre), doveva essere necessariamente rimpinguata, in termini qualitativi, si intende. Usciti dalla rosa onesti ma pleonastici giocatori: Rivas (Chi l’ha visto?), Amantino Mancini (tornato a svernare nella sua Belo Horizonte), Muntari (molto più idoneo al clima e ai campi di Premier League), Biabiany (sorvolerei per non infierire su un simpatico e serio ragazzo), sono entrati due giocatori della nazionale italiana, cardini futuri, investimenti dovuti all’esigenza di svecchiare una rosa logorata da battaglie e dall’incedere inesorabile del tempo. Benaugurante l’arrivo di Kharja, utile già nel suo esordio, calatosi repentinamente in un ambiente che per dimensione non aveva mai assaporato.
Operazione low-cost da valutare nel medio periodo. Ciliegina sulla torta, arrivato come si conviene all’ultimo minuto della sessione invernale chiusa alla 19,00 di ieri sera, Yuto Nagatomo. Nell’ecumenica inter morattiana la bandiera giapponese non aveva ancora trovato modo e tempo di sventolare. Il terzino nipponico, veloce, disciplinato, instancabile, qualitativamente non sprovveduto, ambidestro, arriva inebriato dal successo continentale asiatico che ha permesso anche a Zaccheroni di riassaporare piacevoli sensazioni dopo alcune esperienze non proprio lusinghiere. A compiere il tragitto inverso, sbarcato in Romagna, Davide Santon. Il bambino nerazzurro, frastornato dalla prova di domenica, caduto in un tunnel di recondita lettura, necessita di una presenza sul campo, di imparare sbagliando, esigenze che mal si sposano con il dovere che accompagna la storia nerazzurra. Questi mesi nella quieta e mite Cesena non potranno che facilitare il percorso che Davide dovrà intraprendere per far ricredere la gente, ma anche sè stesso, che le qualità in lui intraviste non siano evaporate come una buriana d’agosto.
[Maurizio Libriani – Fonte: www.fcinternews.it]