L’idiliaco Natale rossonero (primo posto in classifica in solitaria, Cassano, le rivali storiche a meno cinque e a meno tredici, il Mondiale per Club 2007 rivalutato alla grande visto che sembra non sia più la Coppa dell’Amicizia), si misura con l’approdo leonardiano alla corte nerazzurra e con gli strilli giornalistici su Kakà sempre sponda nerazzurra. Su Leonardo, nessun brivido. Nei suoi tredici anni di Milan la vera occasione in cui ha avuto occasione di comunicare qualcosa alle corde della tifoseria rossonera, è stato l’anno da allenatore. Da giocatore segnava, esultava, faceva il suo e piuttosto bene. Da responsabile della Fondazione onlus milanista, ha fatto toccare con mano a tutti la realizzazione effettiva, concreta, professionale di decine di progetti benefici e ha organizzato molto bene il lavoro dell’istituzione.
Da allenatore, è stato molto corretto e lineare con i tifosi. Mai retorico, mai ruffiano, sempre professionale, sempre lontanissimo dall’orgoglio di appartenenza rossonero che giocoforza si misura anche nel vivere la rivalità con la parte interista della città. Cose da milanista, insomma, mai dette e probabilmente mai pensate. Cose da allenatore, tante e interessanti. Tutto da vedere l’uso strumentale, in chiave anti-Berlusconi, che verrà fatto della sua figura in chiave non solo sportiva, ma in definitiva nessun problema. Per come ha comunicato Leonardo nel Milan da allenatore, questo passaggio ci sta. Non stride. Buon lavoro, senza emozioni e senza livori.
Kakà no, Kakà è un’altra cosa, molto diversa e molto più seria sul piano “cardiaco”. Nessun infingimento e nessun sorriso stretto nella circostanza: se mai dovesse succedere sarebbe un colpo all’alone e alla magia con cui milioni di milanisti hanno lo hanno amato. Ricky e i Rossoneri si sono guardati negli occhi per anni toccandosi il cuore e solo il cuore…La speranza milanista è che Ricky, lui, Ricky, più che il suo mondo, non lo faccia. Ma tant’è, quando si cambia una strada bisogna essere equilibrati e disposti ad accettarne le conseguenze. Anche se non è facile, anche le più estreme. Altro discorso sul piano tecnico. Ad oggi, sull’asse Milan-Inter, gli scambi, o gli sgarbi come li chiama qualcuno, hanno funzionato solo in tre casi: Pirlo, Seedorf e Ibra. Zlatan è fuori concorso e sfugge a qualsiasi spiegazione, Pirlo e Seedorf no. Quando il primo è arrivato nel Milan aveva 22 anni, il secondo 26, erano chiaramente al centro della loro carriera. Vieri invece di anni ne aveva 32, Ronaldo 31, erano al terzo tempo della loro avventura e non andò bene. Kakà nel 2011 avrà 29 anni e prima dei mesi di assenza, aveva inanellato mesi di difficoltà, senza brillare nel Real 2009-2010. Il Mondiale sudafricano è andato come è andato. Il Kakà di Manchester dell’Aprile 2007, così irraggiungibile in campo e così stanco a fine stagione da dover rinunciare alla Coppa America, riuscì a ripetersi solo a Yokohama in Dicembre sull’onda d’urto del Pallone d’Oro e del Fifa World Player. Poi, mai più a quei livelli.
Il mercato del Milan ha cambiato passo. Gennaio 2009, Estate 2009, Gennaio 2010, Giugno-Luglio-metà Agosto 2010. erano state tre sessioni e tre quarti di mercato puramente “difensive”, con possibili cessioni, cessioni, acquisti-scommessa a basso costo valutando le opportunità rimaste al banchetto del mercato dopo che erano passati gli altri. La marcia adesso è più alta, il Milan pressa il mercato, lo attacca. Non sono ancora stati aperti gli uffici della Lega, e il Milan si è già rinforzato con un Cassano in più che per altri vuol dire un Cassano in meno. E potrebbe non essere finita. E’ chiaro che, giocato sull’anticipo per Cassano, la mente è più libera per valutare che cosa davvero può fare il Palmeiras (più del Gremio) su Ronaldinho, e cosa può accadere sul fronte di un esterno difensivo e di quella prima punta di cui ha ravvisato la necessità lo stesso Massimiliano Allegri nel post-partita di Milan-Roma. Insomma, meglio non porre limiti alla Provvidenza…
Il calcio è una scheggia impazzita, l’aereo più pazzo del mondo, tutti contro tutti sempre e comunque. Ma su alcuni nomi, il frastuono si placa, il mosaico si ricompone. Uno di questi è certamente
Gigi Buffon. Spiace che alcuni settori bianconeri, anche ufficiali, anche di società, lo vivano con imbarazzo. Non se lo merita. Non solo, vicende come quelle di Gattuso e Zambrotta, dati da tutti per finiti e oggi pilastri della Capolista, confermano ancora una volta che certi giocatori sono di una pasta speciale. Gigi è una persona vera, autentica. Lo ricordiamo in porta mentre mormora sofferente dopo aver subito un gol, mentre la sua Juventus perdeva. Non c’è niente di studiato e nulla di plastificato nelle espressioni di Buffon. Portiere inarrivabile, uomo vero, persona spontanea. Aveva il mondo in mano ed è andato in Serie B con la sua squadra. Non lo avesse fatto, effetti come la perdita di autostima e lo choc per quella nascente, giovane, Juventus post-Calciopoli sarebbero stati devastanti. Il baluardo dell’Italia mondiale merita un’altra chance. E che sia convinta, leale. Perchè se c’è un tratto che distinge Buffon da ampi strati dell’aereo più pazzo del mondo, è proprio questo: la lealtà. Chi l’ha sempre indossata, merita di riceverla in cambio. E non per riconoscenza, ma per meriti acquisiti e, fino a prova contraria, ancora sostenibili fra i pali di una porta importante.
[Mauro Suma – Fonte: www.tuttomercatoweb.com]