CATANIA – Un’interessante intervista, apparsa sul quotidiano Repubblica, approfondisce il “fenomeno” Montella. Scrive Massimo Mazzitelli: “In un calcio dove la televisione è sempre di più il vero stadio, l’immagine vincente del Catania è il Vincenzo Montella che dopo le partite si presenta davanti alle telecamere: dopo una vittoria o una sconfitta, sempre lo stesso sorriso e la stessa tranquillità. Aria da bravo ragazzo che sembra capitato là per caso. Montella è anche fortunato perché in tv lo chiamano sempre dopo le polemiche di Conte e le battute di Allegri. «Urlare non è il mio stile. Sono timido, riservato, non mi piacciono le sparate, non le facevo da giocatore, non voglio farle da allenatore».
L’intervista continua con le parole del tecnico catanese che affronta diversi argomenti: “Ai ragazzini della Roma, allenavo i giovanissimi, insegnavo che la vittoria è frutto del lavoro, la sconfitta degli errori commessi. Nel calcio l’unica verità la dà il campo. A loro regalavo libri come “L’alchimista” di Paulo Coelho, per dar il messaggio che i sogni vadano inseguiti oltre le sofferenze del cammino. Adesso ai miei giocatori non saprei cosa regalare e non so se avrebbero voglia di leggere. Mi sono iscritto all’Università, facoltà di Scienze motorie, ho dato otto esami (è diplomato in ragioneria ed ha seguito corsi di psicologia e management sportivo alla Luiss). Il calcio è cambiato. Ad un allenatore non basta più conoscere schemi e tattiche. Un tempo i calciatori ascoltavano quel che diceva l’allenatore e lo facevano, adesso sono più preparati, vogliono conoscere, intervenire, devono essere convinti di quel che fanno per farlo al meglio.
Gestire lo spogliatoio, sapere cosa dire e come comportarsi anche davanti alle telecamere non è un compito facile. Mourinho in questo campo è un esempio di come si possa tenere il totale controllo della comunicazione e gestione della squadra. A Catania mi sono guadagnato la stima e la fiducia dei giocatori parlando con loro giorno dopo giorno, ascoltandoli ed anche cambiando idea. Credo molto nel dialogo. Alla fine però qualcuno deve decidere, e quel qualcuno devo essere io. Nella mia carriera ho avuto allenatori che hanno scambiato l’autorità con l’autoritarismo ma quando il bluff è finito sono finiti anche loro, la squadra li ha abbandonati. La differenza tra me e Capello? I miei attaccanti (riferendosi ad una battuta dell’ex tecnico della nazionale Inglese: “Ora Montella capisce perché non lo facevo giocare: non tornava mai”. Sanno dove andare quando li richiamo per coprire una zona di campo. Se mi avesse detto dove andare sarei tornato a coprire.
Io adatto il modulo ai giocatori, non sono un integralista. Un allenatore deve guidare quel che trova, solo Mourinho forse può permettersi di fare la lista della spesa ed essere accontentato. Le squadre che vincono, nel calcio moderno, sono quelle dove l’allenatore è affiancato da dirigenti che lo supportano nella gestione dei calciatori. Quello che stiamo ottenendo a Catania è un premio al nostro lavoro, c’è poco di casuale. Tutti i punti ottenuti li abbiamo meritati, abbiamo un centro sportivo tra i migliori in Europa ed una disciplina ed organizzazione da far invidia ai grandi club. E tutto questo nel Sud più a Sud dell’Italia calcistica. C’è aria di rinnovamento nel nostro paese. A Catania perché non ripartire dalla squadra di calcio?”
[Redazione Mondo Catania –