Moratti è un bravo presidente, bravissimo: trovate voi uno che per pura passione ha buttato un miliardo di euro. Se conoscete un siffatto scialacquatore dategli pure il mio codice Iban, recuperatemi il numero di sua figlia, mettetegli quantomeno in tasca un bigliettino col mio indirizzo di posta elettronica.
Ora, essere bravi presidenti non è sufficiente per essere presidenti vincenti. Un club di serie A è una maledetta tassa perenne e si sostiene esclusivamente in due modi: 1) Con le idee 2) Con i quattrini. In Italia, al momento, le idee ce le ha solo Pozzo, “papà” dell’Udinese. Cosa fa Pozzo: sonda il globo terracqueo alla ricerca di potenziali fenomeni, li passa al setaccio e quel che resta a galla basta e avanza per mantenere il club su ottimi livelli. Pozzo però non ha l’obbligo di vincere e in generale non tutti son così lungimiranti. E allora tocca buttarsi sul piano B, ovvero, bisogna spendere un sacco di soldi, magari con un po’ di sale in zucca.
Al momento Moratti è vittima del complesso del “figlio primogenito”: papà e mamma ce l’hanno con me e danno tutte le attenzioni a quel maledetto del mio fratello minore. Attacca gli arbitri, Moratti, e in cuor suo sa bene che: i fischietti stanno facendo la loro parte per rompere i maroni ai nerazzurri ma non sono il vero problema. Quello, il “vero problema”, è in casa.
Dice l’ipotetico contabile di patron Massimo: “il presidente ha appena cacciato 40 milioni per ripianare il debito societario, altro che tirchio”. Bravissimo, davvero. Il fatto è che non basta. Il presidente dell’Inter (così come quello del Milan, della Juventus e di tutte quelle squadre che ambiscono a trionfare) ha il dovere di fare di più, altrimenti fa la figura del tordo, del taccagno, di quello non capace e allora tanto vale lasciar perdere. Moratti per essere il primo degli onesti in vista del fair-play finanziario non si è accorto che si sta facendo una pessima pubblicità: i suoi tifosi cominciano a mugugnare, gli avversari lo sfottono, le sue tasche rischiano di svuotarsi inesorabilmente secondo la legge non scritta del “chi meno spende… più spende” (se non ti qualifichi per la prossima Champions, tutto quello che hai risparmiato per l’ingaggio di Eto’o va a farsi benedire). Sia saggio il patron: parli meno di congiure fischiettanti e si concentri sul mercato. Con Branca ha un’occasione mostruosa: fare a gennaio quello che Berlusconi fece al mercato estivo 2010, il nababbo. Ci guadagnerà l’Inter, ci guadagnerà l’immagine sbiadita di Massimone. Replica lo scettico: “Ma quello ormai non c’ha una lira”. Balle, semplicemente “quello” sta aspettando la prossima estate per rilanciare un progetto momentaneamente sospeso per “indigestione da triplete”. Solo che il calcio non è un acquisto a rate fatto al grande magazzino: se salti un pagamento della tv al plasma e ne fai due il mese successivo non succede nulla, se “buchi” una sessione di mercato quella dopo ti tocca fare quintupla fatica.
Ora la Juve di mister Conte, perfetto fino alla partita di domenica.
A inizio secondo tempo l’allenatore più grintoso che c’è si presenta in campo con una boccetta d’acqua santa in puro stile “reverendo in estasi mistica”: maestoso segno della croce a uso e consumo delle telecamere e alè che riparte la tenzone al “Bentegodi”.
Il richiamo all’Altissimo, però, non aiuta la Signora e c’è chi maligna: “Al bell’Antonio il miracolo è riuscito solo con i capelli”. Cattiveria.
Domenica, Conte, ha sbagliato. Non gli era ancora successo da quando è diventato capoccia bianconero. Il mister nato a Lecce ha clamorosamente toppato la formazione iniziale, il modulo in particolare. Una squadra che vuol vincere lo scudetto a Verona scende in campo con due punte, magari anche tre, soprattutto se ce le ha.
Invece no, il successore di Delneri per la prima volta se l’è fatta sotto. Ha pensato: ripropongo il 4-1-4-1 che tanto male ha fatto al Milan, ma così facendo ha semplicemente ottenuto due effetti nefasti. 1) Ha ringalluzzito il Chievo, praticamente mai in affanno. 2) Ha fatto venire l’ulcera ai vari Matri e Quagliarella, lasciati a marcire in un angolo della panca (il primo) e in tribuna (il secondo).
La Juve è prima in classifica e ci resterà ancora, magari fino alla fine del campionato. Conte però deve fare un passo avanti: è riuscito a togliere dalla mente dei suoi le scorie di un anno passato a far la figura dei perdenti, ora deve convincere tutti quanti che i bianconeri fanno paura a prescindere e non si adattano mai agli avversari, anche se bravi e ben organizzati (vedi Chievo).
L’andamento lento del campionato permette al tecnico primo in classifica di lavorare in pace, ma attenzione: il Milan ha scollinato, Lazio e Roma (nonostante il ko nel derby) sono spavalde, il Napoli è più squadra e l’Inter per una mera questione statistica può solo risalire.
[Fabrizio Biasin – Fonte: www.tuttomercatoweb.com]