Ieri abbiamo appreso una notizia che ai più può sembrare banale, ad altri può essere una liberazione, giacché il grande chiacchierone non parla, mentre agli interisti, nostalgici e innamorati, ha fatto sobbalzare il cuore. Subito abbiamo immaginato situazioni incredibili e ci siamo creati i cosiddetti ‘film mentali’ degni della migliore sceneggiatura di hollywoodiana matrice. Josè Mourinho ha disertato la conferenza stampa della vigilia, prima della semifinale di Copa del Rey contro Siviglia, squadra che ha deciso di batterlo per lasciarlo senza questo titulo. Gli andalusi lo hanno provocato con uno spot (simile a quello fatta dal Barça), dal cui titolo, si capisce chiaramente che il tecnico portoghese è il bersaglio. Ma questo è solo un pittoresco episodio al quale lo Special non ha voluto rispondere, per via dell’autoimpostosi silenzio. Sinceramente tutti avremmo voluto sentire le sue ragioni, ma certamente dietro questi silenzi si cela qualcosa di più profondo.
La situazione sembra diversa dal silenzio dello scorso anno, (per intenderci quello dopo le manette) un silenzio che mi aveva lasciato intuire che Mou era stufo dell’Italia (ma non dell’Inter) e voleva lasciare, lasciare però portando qualcosa di importante. Il Triplete è arrivato con il portoghese che, nel suo silenzio, caricava a mille i suoi giocatori verso le imprese che sono incastonate nella storia nerazzurra. Lo faceva defilato, senza nessuna provocazione, quasi stufo di chi pensava ( i soliti esperti) fosse solo un grande oratore e non un tecnico di primissima fascia. Mourinho li ha presto zittito tutti, vincendo tutto per poi lasciare, sicuro che non c’era più niente altro da dare al mondo Inter. Il Real Madrid lo aspettava e lui non aspettava altro che il Real Madrid, una piazza e un presidente (Perez) che ha mangiato tanti, anche ottimi, allenatori e che con Mourinho andrebbe sul sicuro per insidiare il dominio del Barcellona.
Ma Madrid non è Milano e il Real non è l’Inter: in Spagna quello che conta è lo spettacolo prima della vittoria, in Italia basta un gol di unghia all’ultimo secondo per essere felici. Mou è tutto fuorché sinonimo di spettacolo: le sue squadre dominano fisicamente, sono fortissime psicologicamente, cariche di un autostima incredibile e pronti anche a sputare sangue e morire da guerrieri del campo, come su di un campo di battaglia, come a Barcellona. A Madrid iniziano i mugugni, nonostante le vittorie e il testa a testa col Barcellona. Ma proprio la sera del 29 novembre i catalani gli mostrano la ‘manita’. Secco 5-0 senza repliche e Real più che mai nervoso per la quinta sconfitta in tre anni di Clasico.
Molto da quel momento cambia: il Real è costretto sempre a inseguire, Mourinho vuole protezione dalla dirigenza nei confronti dei suoi giocatori, come l’aveva all’Inter, ma Valdano e Perez non lo accontentano, preferendo salvaguardare l’immagine del loro club, che mai ha avuto un allenatore che battaglia con stampa e arbitri. A ciò si aggiungono i rapporti non idilliaci con il ds argentino, un mancato mercato di riparazione con un centravanti che non arriva. Mugugni che si trasformano in silenzi, quei silenzi che i tifosi del Real, come hanno fatto quelli nerazzurri, devono imparare a temere. Se un tipo eloquente come Mou si autoimpone il silenzio, significa che a Madrid non sono tutte rose e fiori. Tutt’altro.
E l’Inter? L’Inter è sempre nel suo cuore, inutile nasconderlo, come è inutile negare che un giorno, forse non troppo lontano, potrebbe anche tornare, anche se la sua vera sfida è a Madrid. E lì che Josè Mourinho da Setubal vuole vincere per zittire ancora una volta i suoi detrattori. Ma intanto ha ben pensato di zittire se stesso. Un suo silenzio, infatti, vuole sempre dire tanto.
[Alberto Casavecchia – Fonte: www.fcinternews.it]