Buttar fuori ciò che si ha dentro, dopo aver buttato dentro la rete il pallone.
“Segnare”, lasciare la propria firma. Su di un attimo di gloria. Dentro un ricordo, nella memoria del pubblico, tifoso o spettatore. Esserci, ed esserci stato. Personale “realizzazione”.
Infiniti modi, unico denominatore comune. Alleggerire l’anima, dalle tensioni della gara, dalla pressione del pubblico, tra fischi e speranze. Che scendono in campo, con le quali convivere, dentro e fuori. Idolo o incompreso nessuna differenza.
Buttare quella dannata palla in rete. Far esplodere, o zittire, tutti intorno. Come a dire: “Occhi a me”. Chi segna ha sempre ragione. E’ così su ogni campo di calcio. Massimino incluso, ed il Catania, in questi due anni di serie A, di esultanze se n’é regalato parecchie.
Indimenticabile quella che chiuse il Campionato scorso. Bologna. Si gioca lo spareggio contro il Chievo Verona. Al Catania è concesso un solo risultato, la vittoria. Manca Spinesi, manca Edusei, manca Caserta, Baiocco gioca imbottito di antidolorifici. Sarà la giornata di chi non t’aspetti.
Non parte titolare nemmeno in queste condizioni. Fausto Rossini, fino ad allora 284 minuti giocati, tra lui ed il campo, sempre un infortunio, un contrattempo, un altro tatuaggio. È il 10’ del secondo tempo, le avversarie vincono, al Dall’Ara il risultato è fisso sul pareggio che vuol dire B. Marino toglie Biagianti, si gioca il secondo attaccante in tandem con Corona, Rossini. Passano 11’, Baiocco appoggia a Lucenti sull’esterno destro, parte il traversone. Rossini è lì, fa fuori Mandelli, stacca di testa, in area, pallone angolatissimo, Squizzi si distende, non arriva, Rete, Catania in vantaggio e virtualmente salvo. Secondo “segno” stagionale per Rossini, il più importante della sua carriera.
Scarta i compagni che gli si avventano addosso, sale sui cartelloni, verso la curva nord. Capigliatura da Samurai, posa da surfista, pollice e mignolo stile Wrestler. Esulta così. A fine partita lo emula Stovini, urla miste rabbia e liberazione, esplose ancora una volta da sopra i cartelloni, verso la tribuna, che festeggia insieme a lui la salvezza, mentre il Presidente Pulvirenti rientra negli spogliatoi al passo del Pinocchio di Benigni. Questa è gioia.
Quella che segnò la Salvezza, quella che segnò la Promozione. Massimino, 28 Maggio 2006. Si gioca Catania – Albinoleffe, ultima di Campionato. I rossazzurri lottano col Torino per il secondo ed ultimo posto disponibile al salto di categoria, diretto. Due punti di distacco, avanti il Catania, costretto ancora una volta a vincere, contro il Catanzaro il Torino passeggia.
Al 41’, il pareggio del Russo sbagliato, quello dell’Albinoleffe, manda i granata in A, ed i rossazzurri agli spareggi. Dodici minuti di ansie, a cavallo tra i tempi. Alla ripresa manca Russo, quello catanese, c’è Del Core. L’uomo dell’ultimo istante, il rapace dell’area di rigore. Passano 8’, Caserta, pallonetto morbido da fuori area, Del Core sguscia via a Minelli, tocca con la punta del piede destro, Ginestra perde il tempo dell’uscita, il pallone passa sotto le gambe del portiere ed ancora Del Core, in caduta, col sinistro, lo spinge in rete. E’ il 2-1 della Promozione. Via la maglia, un urlo lunghissimo, sotto la tribuna, alla spalle, in ogni fotogramma di quegli istanti, un Lo Monaco versione inedita, che lo rincorre, anche lui urlando, a pugni stretti, col cuore in gola.
Gioia e rivalsa (su sé stesso e sui detrattori).
Attimi d’incoscienza, esplodere, via la maglia, involucro della bomba. Meno bene andò a Mascara in Catania – messina, serie A. Batté Storari di testa, mettendo dentro la rete del pareggio, suo primo vero goal di quella stagione. Dalle tribune il grido del duo Patané – Busetta: “Che fai... Non ti togliere la maglia”. Troppo tardi, sui cartelloni, sotto la Sud, via la maglia, i compagni fanno capannello, indossarla in fretta e furia non inganna l’arbitro, nuove norme, secondo giallo e partita che finisce anzitempo. Lascia il campo tra la disperazione e le lacrime.
Prima gioia, poi Rabbia.
Lacrime, come quelle di Fabio Caserta. È la gara contro il Livorno, si gioca in casa. Partita tiratissima, dopo esser passato in vantaggio nel primo tempo, il Catania viene raggiunto e superato sul 1-2. Quando tutto sembra perduto, ecco la zampata del giocatore così fortemente voluto da Lo Monaco ed amato (allora) dalla piazza. Tiro da fuori area sul quale Amelia non può nulla, prima rete in A, corsa sotto la Tribuna, in lacrime, a dedicare il goal al suo papà, che pur malato lo segue sempre, ovunque vada, da quando ha imparato a tirar calci al pallone.
Fu un 3-2 da togliere il fiato, sul quale è bene ritornare. La rete che apre le marcature la mette dentro uno che di reti ne ha fatte tante, ma che da tanto tempo sognava di segnare in quel che per natali è un derby. Gionatha Spinesi, pisano, ed il Livorno, una partita nella partita. Palla dentro di Vargas, girata al volo sulla quale Amelia può nulla. Braccia distese in volo, mano che batte forte contro il petto, un urlo che dura tutto o quasi un giro di campo. Maglietta sulla testa a “monachella” e compagni a sommergerlo.
Catania - Livorno un anno dopo. Uno a zero. Sotto il segno di Sardo, contestato, contestatissimo, da oltre una stagione eletto capro espiatorio d’ogni male. Raramente titolare, un pallone scagliato con violenza contro il pubblico, a Massannunziata, che anche là mugugnava. La voglia d’andar via, la convinzione nel restare, sudore e lavoro, la maglia da titolare. Cross in mezzo di Edusei, la sua testa tra tutte, torsione, Amelia, sempre lui, immobilizzato. Via la maglia, un urlo da buttar giù i muri, ed aggrapparsi alla recinzione della curva. Mai più una critica, mai più ad alta voce.
Presi dalla foga, non si sa mai che esultanza “uscirà”, esplode e via. Chissà.
Accadde così anche a Giorgio Corona. Prima partita in Serie A di sempre per lui, Prima partita in serie A dopo 23 anni per il Catania. Si gioca a Cagliari. La rete che decide la partita porta proprio la sua firma. Sponda di testa di Spinesi, pallone a campanile al limite dell’area, tiro a volo, Fortin s’arrende prima di tentarci, freddato. Incredulo, alla sua prima rete nel massimo campionato italiano, gli vien fuori una linguaccia ed il tipico gesto del “mamma mia”, con ambo le mani.
Prima partita in serie A, primo goal, decisivo. Capita così anche a Bergamo, dove ad esordire, all’80’ di una partita messa male (1-0) è il giapponese Morimoto, allora 18enne. Marino butta dentro i quattro attaccanti, ed accade l’incredibile. Palla al centro di Baiocco, Morimoto è lì, Carrozzieri non se ne accorge, Calderoni se lo ritrova davanti, impossibile fermarne il tiro. Pareggio a tempo ormai scaduto. La gioia del giovane giapponese è di quelle senza parole, mano sulla testa come a dire “cos’ho fatto... non ci credo”, i compagni lo seppelliscono d’abbracci, a Marino, sempre algido, scappa anche un sorrisetto che la dice lunga, lunghissima....continua... - articolo letto 256 volte