Credo che solo chi ha i miei cinquant’anni ed è cresciuto nel suo mito possa capire fino in fondo che giocatore sia stato e che cosa abbia rappresentato Giacomo Bulgarelli per la sua maglia e per la sua città. Ma lunedì scorso nella cattedrale di San Pietro sono stato felice di constatare che Giacomo era anche uno di quei pochissimi personaggi in grado di richiamare attorno a sé un’infinità di gente. Gente che in molti casi di lui ha solo sentito parlare da “chi c’era” oppure ha conosciuto i commenti televisivi o la voce sintetizzata uscire da un videogioco. Intendo dire che Giacomo era uno di quegli eroi di una generazione capaci di perpetuarsi nel tempo, di identificarsi cioè con tutti coloro che amano i colori che lui non volle mai tradire. Per me Bulgarelli significa l’infanzia, mio padre che mi portava allo stadio a tifare per un Grande Bologna che poco a poco, anno dopo anno, scivolava verso l’anonimato man mano che si spegneva la fiamma agonistica dei condottieri dello scudetto. Significa la fede verso i colori più belli del mondo, il rimpianto di un altro calcio e l’illusione che questo sport non sia solo lo squallido business interpretato da velinari strapagati ma sia ancora cultura, emozione, espressione di valori umani più alti rispetto al mondo che lo circonda. Significa il ricordo di una meravigliosa maglia bianca con le due strisce trasversali e il numero 8 sulla schiena con cui giocavo sul pratone dei Giardini Margherita. Significa anche il rinnovarsi della sfida delle sfide, quella con i colori nerazzurri dell’Inter che io, come i miei coetanei, non potevamo non detestare; simpatizzare in qualsiasi modo era proprio vietato, i nostri genitori ci avrebbero diseredato all’istante. Ed è proprio un’ironia del destino che siano Bologna ed Inter ad affrontarsi oggi in uno stadio che sarà un solo coro e un solo nome. Sono certo che anche da parte nerazzurra il ricordo dell’avversario di mille battaglie dentro e fuori dal campo sarà onorato con sincera partecipazione, ma spetta ai nostri giocatori esprimere il miglior modo per ricordare Giacomo: disputare la partita della vita. Si, sentire dentro che questa, e non altre, è la partita da “tutto o niente”. Dare più del massimo per vincerla e, se l’impresa non riuscisse, meritarsi un mare di applausi all’uscita dal campo sapendo di avere onorato la memoria di chi da lassù non si sarà perso un attimo della “sua” sfida. A te, Giacomo, dico grazie di tutto e per sempre. - articolo letto 413 volte