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2007-07-07

Chievo, fine della favola


C’era una volta… un imprenditore. Un imprenditore mago, molto somigliante ad Harry Potter, giovane e preciso come un orologio svizzero. Aveva dovuto da subito rimboccarsi le maniche, dopo che aveva preso le redini delle aziende di famiglia gestite prima dal defunto padre. Il suo nome era Campedelli. A quest’uomo compassato, che non lasciava trasparire mai le proprie emozioni, riuscì una magia incredibile: in 9 anni catapultò una squadra del quartiere Chievo di Verona dalle serie dilettantistiche più infime fino alla difficilissima serie A italiana. Non contento, allestì così bene la squadra che questa stazionò per tutto il girone di andata al primo posto in classifica, mettendo in fila tutti i colossi, e sicuramente qualcuno dei potenti del nostro calcio, indispettito, lo definì in segreto un apprendista stregone. La squadra terminò il campionato con un ottimo piazzamento. Visto che nel calcio degli ultimi anni tirava una brutta aria, ed il business era sempre più difficile da realizzare, il nostro mago decise di non investire ulteriori soldi e di mantenere una politica di bilancio equilibrato, e di gregari in gamba dai grandi polmoni e dalla tecnica non eccelsa. Il gioco gli riuscì per diversi anni, i diritti televisivi lo aiutarono a tenere in piedi la baracca, anche se i tifosi erano quelli di una squadra di quartiere. Si aveva così l’impressione di giocare sempre in trasferta. Diminuendo anno dopo anno il rendimento, sempre più spartano e privo di una politica societaria coraggiosa, il Chievo è rimasto in A fino all’epilogo di quest’anno, in cui, pur lottando, è retrocesso in serie B. E’ vero, Campedelli ha creato dal nulla un’ottima società sportiva e una grande azienda, dotata tra l’altro di un settore giovanile di prim’ordine. E’ altresì vero che nel calcio di oggi, in cui i bilanci vengono controllati severamente, e in cui è facile perdere fior di milioni di euro, bisogna andare cauti. Ma la gestione di Campedelli, dall’acquisizione della massima serie in poi, ha mancato di una qualità: il coraggio. Nello sport non ci si può accontentare, bisogna mirare sempre a vincere e a migliorarsi, altrimenti si consegnano automaticamente le armi al nemico. Punto 1: il Chievo non aveva e non ha tifosi, eccetto poche migliaia di simpatizzanti. In questi anni la società avrebbe potuto benissimo fare proseliti, con operazioni di marketing e di immagine, che avrebbero fruttato la rendita di ogni commerciante, come di ogni industriale: i clienti, quei tifosi che sicuramente avrebbe acquisito, se solo ci avesse provato. Questo avrebbe consentito all’azienda di diventare più solida. Punto 2: il Chievo ha scoperto molti talenti, ha valorizzato Eriberto, detto poi Luciano, e ha lanciato Obinna. Ma comprare anche qualche campione, insieme ad un progetto più lungimirante, avrebbe potuto portare il Chievo ad essere oggi una realtà molto più importante, una squadra da coppe europee, dagli introiti ben superiori. E’ vero, poteva anche andare male. Si è visto però quello che è successo a non comprarli, quei campioni: si è sprofondati, perché non ci si è provato nemmeno, ad andare un gradino più su. Certe volte, forse, è meglio un po’ di azzardo, che cercare, a tutti i costi, un’esistenza tranquilla - articolo letto 177 volte

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