L'intervento diretto del regime fascista nel mondo del calcio nell'estate del 1926 aveva rivoluzionato l'organizzazione dei campionati italiani: la Carta di Viareggio, per la prima volta, riunì le squadre del Nord e quelle del Sud in un unico torneo, la Divisione Nazionale. Il regime, secondo i gli ideali nazionalistici, era infatti interessato a superare la dicotomia che aveva caratterizzato il mondo del calcio fin dalle sue origini in Italia, arrivando a un campionato esteso sull'intero territorio nazionale. “Il nuovo regolamento prevedeva inoltre l'abolizione della finale, un appuntamento che negli ultimi anni si era dimostrato ingestibile sotto il profilo dell'ordine pubblico a causa delle fortissime rivalità che scatenava fra le tifoserie avversarie. Lo scudetto sarebbe stato assegnato invece in un piccolo torneo da sei squadre, che avrebbe avuto inoltre il pregio di abbozzare per la prima volta una classifica, un metro di misura delle rispettive forze delle migliori società a livello nazionale. Per le squadre eliminate dalle finali venne invece introdotto uno specifico trofeo di consolazione: la Coppa CONI. Il torneo segnò il definitivo dominio delle squadre metropolitane sul campionato e il conseguente declino delle provinciali, limitate dall'insorgere del professionismo sostenuto da grandi capitali finanziari. Le sei finaliste furono tutte espressione, infatti, delle quattro più grandi città del Nord. Dopo un intero lustro di mediocrità, si rifecero vive anche le due milanesi, protagoniste di un percorso finalmente all'altezza del loro già indiscusso blasone.”Assolutamente regolare fu il cammino dei campioni in carica della Juventus, la cui partecipazione alle finali non fu mai in dubbio; non ebbe problemi neppure l'Inter, che anzi ottenne un risultato di prestigio battendo i bianconeri a Milano. Assai faticosa fu, invece, la qualificazione del Genoa, costretto ad un certo punto a rincorrere il Casale e capace di aver ragione dei nerostellati solo grazie ad una provvidenziale vittoria nello scontro diretto di Marassi, a cinque gare dal termine. Speculari gli esiti dell'altro raggruppamento. Anche qui la tranquilla vincitrice fu una torinese, il Torino, inseguita da una milanese, il Milan, che giocò la prima stagione nel nuovissimo e modernissimo stadio di San Siro, dove si inchinarono gli stessi granata. Più incerta la qualificazione del Bologna che, grazie a un autorevole girone di ritorno, seppe tenere a bada l'Alessandria. Le due milanesi, Inter e Milan, evidentemente soddisfatte da una buona stagione dopo annate piuttosto tribolate, diedero chiari segni di appagamento accasandosi sul fondo della graduatoria. Fu invece proprio il Torino a spiccare il volo: trascinati dal cosiddetto Trio delle Meraviglie composto dall'argentino Julio Libonatti, dal piemontese Adolfo Baloncieri e dal ligure Gino Rossetti, i granata ottennero due fondamentali successi casalinghi sul Bologna e nel derby. Fu così che, il 19 giugno battendo il Milan, il Torino poté festeggiare il suo primo storico tricolore.Fu però una vittoria di Pirro: l'autunno successivo, le conseguenze del cosiddetto "Caso Allemandi" privarono i granata di questo trionfo. Ad inchiodare i torinesi fu proprio la succitata vittoria nel derby, ritenuta conseguita in maniera truffaldina.La gioia del popolo granata fu di breve durata. Nell'autunno successivo, lo scudetto venne infatti revocato al Torino per le conseguenze del primo grande scandalo del calcio italiano, il Caso Allemandi. Secondo le cronache, Luigi Allemandi, terzino della Juventus, fu avvicinato da un dirigente granata, il dottor Nani, che lo avrebbe corrotto anticipandogli metà della somma pattuita, 50.000 lire, affinché questi addomesticasse il derby in programma per il 5 giugno.Nella gara incriminata, Allemandi si segnalò però tra i migliori in campo: Nani si rifiutò, quindi, di pagare il resto del pattuito al calciatore e la discussione che si accese tra i due in un albergo torinese fu udita da un giornalista, che denunciò il fatto sul giornale Il Tifone. Alle indagini della Federcalcio, guidata da Leandro Arpinati, seguì la sentenza, che revocò lo scudetto al Torino e squalificò a vita Allemandi, nel frattempo passato all'Inter, il quale godette tuttavia di un'amnistia in seguito al terzo posto della Nazionale alle Olimpiadi del 1928. Il titolo rimase non aggiudicato. - articolo letto 1603 volte