Calcio Estero

La strana notte di Medellin che unisce il mondo del calcio

Questa notte si sarebbe dovuta giocare l’andata di Copa Sudamericana tra Atletico Nacional e Chapecoense ma non è stato cosi.

MEDELLIN – Profumi che si mischiano in un’atmosfera plagiata da una tristezza infinita e collettiva. Medellin si trova inglobata in un limbo di incredulità e solidarietà per ciò che doveva essere e non è stato. C’è che chi accende un cero, c’è chi prega e chi si commuove pensando a coloro che adesso stanno volando verso altri lidi, verso altre destinazioni in cui non esiste vittoria o sconfitta ma solo la gloria. Si, perché la gloria non si compra, è una merce rara destinata a pochi eletti, quelli scelti dal fato che troppe volte risulta crudele e spietato ma nessuno di noi ha delle armi per fronteggiarlo, per dirgli di smetterla.

Ieri sera doveva giocarsi una finale, quella di Copa Sudamericana tra Atletico Nacional e la Chapecoense. Una finale che ogni giocatore del Verdao Catarinense sognava di giocare da bambino. E’la finale che aspetti per riscrivere le pagine del calcio e della vita brasiliana che troppe volte toglie e non da. E’ la finale che giochi per la tua famiglia che adesso ti sta piangendo dall’altra parte del continente. La finale dei sogni a cui hanno tarpato le ali ancor prima di spiccare il volo.

Un flashback maligno e meraviglioso allo stesso tempo ci porta al 23 novembre quando Danilo Rangel, il portiere, salva la sua porta all’ultimo minuto deviando, sulla linea, con il piede una conclusione ravvicinata di un difensore del San Lorenzo e poi il fischio finale. Le luci, gli scatti, le preghiere ed i festeggiamenti per aver raggiunto la prima finale importante della storia del club. Una storia fatta di luci ed ombre, anzi più ombre che luci.

Una storia che inizia per caso nel 1973 quando due squadre di Chapaco, città industriale di 250mila abitanti, si fondono e danno vita alle Chapecoense che viene rappresentata dal colore verde ossia la speranza di poter cambiare qualcosa che è già scritto nel firmamento senza senso del calcio e della vita. La squadra non riesce a decollare nei suoi primi anni, rischia di sparire ma poi arrivano le idee e si sa che sono sempre quelle a dar più soddisfazione del denaro perché non si possono comprare: la squadra in sei anni compie un cammino idilliaco partendo dalla Serie D e arrivando nel Brasilerao, un sogno, il primo.

Il secondo sta per arrivare ed è la qualificazione alla Copa Sudamericana dove però vengono estromessi ai quarti dal River. Il destino bussa due volte ed arriva la seconda qualificazione, stavolta i ragazzi di Caio compiono qualcosa di inenarrabile eliminando colossi come Indpendiente e San Lorenzo giungendo in finale. Poi il buio. Ecco che il viaggio dei sogni per Medellin si trasforma nel viaggio da incubo. Il cielo è buio e in lontananza si sente un boato: se qualcuno dovesse chiedersi qual è il suono della morte potrebbe immaginarsi lo schianto del velivolo e darsi una risposta più o meno scontata. Buio, finisce tutto in una tranquilla serata nei pressi di Medellin dove era custodito il sogno, il riscatto dopo tanti anni bui. Le grida, i soccorsi e il bilancio drammatico che parla di 71 morti e 6 sopravvissuti.

Ieri doveva giocarsi l’andata di quel sogno infranto in una bastarda notte colombiana. Non si è giocato ieri ma ognuno ha assistito a scene di un altro mondo: sessanta mila persone che cantavano l’inno della Chapecoense fino a far collassare i decibel mentre dall’altra parte del continente i tifosi del Chape stavano piangendo insieme a coloro che si sono salvati perché non convocati. Un abbraccio del mondo lungo migliaia di chilometri, una abbraccio che deve far riflettere. Un abbraccio che  fa capire che il calcio non si ferma al solo valore agonistico ma va ben oltre e, se alcuni non riescono a capirlo, non hanno capito nulla della vita.

Quella vita che i giocatori, allenatori, giornalisti e passeggeri hanno visto passare davanti come un lampo e filare dritta verso la stazione in una tragica serata che ha spezzato i sogni di tutti ma che ha reso quei ragazzi eterni. Perché nessuno muore mai completamente ma continua a vivere nel cuore di chi li ha amati e continua ad amarli.

Fonte foto: Profilo Fb ufficiale Atletico Nacional

Alessio Evangelista
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Alessio Evangelista

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