Era stato il “giustiziere” di Inter, Milan, Roma, Juventus, Lazio, Fiorentina, Werder Brema, da quando era sbarcato a Genova segnava senza sosta, gonfiava la rete di destro, sinistro, di testa, in acrobazia, di rapina, da fuori area, da pochi metri, la sua esultanza era diventata un appuntamento fisso per noi tifosi blucerchiati, che non smettevamo di godere dinanzi alle sue imprese, oltre che una condanna per gli avversari, costretti a capitolare da un momento all’altro. Ora cosa gli succede?
Mi sto ovviamente riferendo al Pazzo Giampaolo Pazzini. Contro il Werder Brema aveva realizzato il goal della speranza in Germania, una doppietta fantastica a Marassi che ci stava per portare al girone di Champions League. Tre marcature che rappresentano il dna del vero attaccante: tecnica, velocità, coordinazione, dinamismo, voglia di non mollare mai, senso della posizione, coraggio. Il mancato approdo all’Europa che conta ha avuto le conseguenze che tutti noi conosciamo, come l’inevitabile contraccolpo psicologico e i sintomi di una preparazione fisica anticipata.
Dopo quella triste e sfortunata notte europea abbiamo visto un Pazzo non andare più a segno con quell’incredibile costanza che ci aveva agiatamente abituati, cosa è successo all’ingranaggio blucerchiato? Al di là del fatto che in una carriera di un attaccante capitino fisiologicamente alcuni periodi nei quali la porta appare stregata, piccolissima, non ci entra uno spillo (Julio Cesar prodigioso a San Siro, la traversa colpita su punizione a Parma, la parata di Sorrentino sulla sua rasoiata dal limite, per citare soltanto gli esempi più recenti), nemmeno se le partite dovessero durare il triplo di minutaggio, le responsabilità non sono esclusivamente del bomber doriano, anzi, per essere sinceri fino in fondo, sono soltanto in limitatissima entità imputabili al diretto interessato.
Con Semioli k.o., Mannini ben lontano dal rendimento della parte iniziale e finale dello scorso torneo, Padalino raramente visto in campo, Guberti in calo rispetto alle ottime prestazioni dei primi mesi di campionato, Koman attivo ma ancora alla ricerca della continuità e senza le consuete sovrapposizioni degli esterni bassi, si fa presto a comprendere le cause degli scarsi rifornimenti al tandem offensivo.
Pazzini non si è mai risparmiato, sia quando le cose andavano come meglio non si poteva, sia quando tutto pare girare storto. Non si è mai tirato indietro dinanzi al “lavoro sporco” in aiuto ai compagni, giocando di sponda e facendo alzare il baricentro della squadra, ma non può essere costantemente costretto a giocare spalle alla porta, a causa dell’incapacità a creare la superiorità numerica sulle corsie esterne e della quasi costante assenza di un gioco corale.
Finora in campionato il Pazzo è andato a segno in un’unica occasione, regalando peraltro in pieno recupero 3 punti pesantissimi a Cesena con un goal facile facile su assist al bacio di Marilungo, da quel momento la Sampdoria, priva di Cassano, non ha più gonfiato la rete. Se già gli scarsi e imprecisi rifornimenti dagli esterni avevano complicato e non poco il gioco di Pazzini, l’esclusione del fantasista barese non ha fatto altro che aggravare dannatamente le cose, in quanto il n°99 doriano rappresenta la ciliegina sulla torta dell’intero organico, l’unico in grado di accendere il gioco, estrarre dal cilindro giocate di classe cristallina e mettere gli attaccanti nelle migliori condizioni per andare a segno.
È vero, l’anno scorso la Sampdoria faceva punti, tanti punti anche senza Cassano, ma forse era soltanto una coincidenza (se ad Udine fosse stato concesso quel rigore solare per fallo di Gastaldello ai danni di Sanchez, con conseguente espulsione del difensore doriano già ammonito e concessione del penalty, sarebbe cambiato di molto il torneo blucerchiato oltre al destino di mister Del Neri), oppure quell’organico era più in palla, aveva ritrovato una chiara identità di gioco, già mostrata ad inizio stagione, e i giocatori chiave negli altri ruoli rendevano al massimo, in primis Palombo, Semioli, Guberti, Poli, Pozzi, Mannini.
Vedere il Pazzo dover sgomitare con i difensori avversari per catturare qualche palla vagante, gettata in avanti alla “spera in Dio” fa davvero incavolare non soltanto i tifosi blucerchiati, ma tutti gli amanti dello spettacolo. Pazzini è un patrimonio della Sampdoria, del calcio italiano e della Nazionale di Prandelli, che non gli ha voltato le spalle nonostante il periodo assai deludente in termini di realizzazioni. Lui deve soltanto ritrovare il top della condizione psico-fisica, non deve abbattersi ma restare consapevole del grande potenziale che la natura gli ha regalato. Tutto il resto spetta a mister Di Carlo e ai compagni: non bisogna più costringerlo a doversi “lanciare da solo”, a lottare su palloni persi in partenza e a tornare a centrocampo per rendersi utile alla causa.
Per il bene della Sampdoria il nostro bomber deve tornare ad esultare e a farci esultare, la pazza solitudine rappresenta l’attualità che sembrava impossibile anche soltanto da immaginare. Nessuno può prevedere il futuro, ma, appena la mala sorte se ne andrà e il gioco ritornerà di scena ogni qual volta scenderemo in campo, allora il n°10 tornerà ad essere unicamente sinonimo di pazzia alla quale gli avversari non potranno sottrarsi e quella maledetta solitudine sarà diventata soltanto un brutto ricordo.
[Diego Anelli – Fonte: www.sampdorianews.net]
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