Un normalissimo nono posto in una normalissima corsa in linea francese di fine stagione, il Tour de Vendée, vinta per la cronaca da Arnaud Demare, ha segnato la conclusione, da tempo annunciata, della carriera su strada di un ciclista che ha incarnato l’antitesi della normalità.
Questo non solo per il suo strepitoso talento naturale, ma anche per il suo essere una specie di mosca bianca in un ambiente, quello del ciclismo, fra i più conservatori in ambito sportivo.
Che ciò sia stato dovuto alla sua provenienza geografica (la Slovacchia era, prima di lui, un paese assai distante dalla tradizionale geografia dei paesi di tradizione ciclistica, e verosimilmente tornerà a esserlo) alla sua irriverenza caratteriale o alla sua passione per la velocità e per le moto da cross, o a un insieme di queste cose, quello che si può affermare, senza paure di smentita, è che Sagan è stato un personaggio a tutto tondo, una versione aggiornata di Mario Cipollini (restando all’ambito della bici), perché la sua popolarità non si è esaurita al suo essere campione di ciclismo, conosciuto e apprezzato solo e soltanto dagli appassionati, ma si è alimentata delle sue capacità dialettiche, delle sue trovate (divenne “virale”, a capodanno del 2016, un video nel quale con la moglie Katarina, da cui poi si è separato, si divertirono a imitare, ballando, la celebre coppia John Travolta – Olivia Newton nel film Grease) della sua capacità di ridere anche delle sconfitte.
Nato nel 1990, Peter passò professionista giovanissimo nel 2009, bypassando la categoria degli U23 e con alle spalle un curriculum di tutto rispetto nella mountain bike, dove vinse tutto quello che c’era da vincere nella categogia juniores. L’abilità maturata con la bici dalle ruote grasse, disciplina cui tornerà a dedicarsi da adesso in poi, è stata determinante per farne un autentico funambulo anche sull’asfalto delle corse su strada, capace di guidare la bici in maniera prodigiosa. Sagan nel 2010 approda alla squadra italiana Liquigas, nella quale militavano le vedette del ciclismo di quegli anni, un giovanissimo ma già fortissimo Vincenzo Nibali e lo stagionato Ivan Basso e vince subito corse di spessore.
L’anno seguente vince tre tappe alla Vuelta ma è il 2012 l’anno della definitiva consacrazione: vince complessivamente 16 gare ed al Tour de France si aggiudica ben tre frazioni, dominando la classifica a punti. Di lui impressiona lo strapotere atletico, poiché è capace sia di vincere le volate di gruppo sia di attaccare sulle salite brevi. In quell’edizione della corsa si attira anche le antipatie di campioni già affermati, come il campione del mondo Mark Cavendish, che non solo trovano in lui un nuovo agguerritissimo avversario ma anche un ciclista capace di farsi beffe, simpaticamente, dei rivali, improvvisando folcloristiche esultanze prima di tagliare il traguardo.
Si entra così nel quinquennio, 2013-2018, nel quale Sagan, come dichiarò il grande Gianni Mura, valeva da solo “metà di tutto lo spettacolo offerto dal ciclismo”.
Vince caterve di gare, nei noiosi Tour de France dominati dagli inglesi del team Sky e da Chris Froome, con copioni tattici monotoni, fa il bello ed il cattivo tempo, vincendo con largo anticipo la classifica a punti, piazzandosi fra i primi in tante tappe, andando in fuga e dando spettacolo anche in frazioni di media montagna. Dopo aver più volte sfiorato il successo di una grande corsa in linea, nel 2015 vince finalmente il titolo mondiale su strada a Richmond, negli USA, riuscendo, cosa clamorosa per un ciclista che correva con una nazionale molto debole, a rivincere il titolo anche nelle due stagioni successive, a Doha nel 2016 e a Bergren, in Norvegia, nel 2017. Il primo titolo lo sblocca, gli toglie quel pizzico di pressione che ancora si portava addosso e nel 2016 fa l’accoppiata di vittorie Gand-Wevelgem, corsa che vincerà tre volte, e Giro delle Fiandre. Nel 2018, con indosso ancora la maglia di campione del mondo, si aggiudica finalmente anche la Parigi-Roubaix, la corsa del pavè, la gara in linea più prestigiosa, perfetta per le sue qualità di ciclista maturato sul fuoristrada.
Da questo momento in poi, la carriera di Sagan intraprende un’evidente fase calante. Forse sazio per i successi conseguiti, forse non necessariamente amante dei sacrifici che il ciclismo richiede per restare competitivi al massimo, vince ancora nel 2019 (per la settima volta, un record) la maglia a punti al Tour de France ma gli ultimi anni si comporta, di fatto, da “postumo in vita”. Il nome Sagan basta da solo per garantirgli un ingaggio plurimilionario, prima alla tedesca Bora Hansgrohe e poi nella squadra francese Total Energie, che forse avrebbero voluto vedere ripagati ben più tangibilmente i propri sacrifici economici. Corre per due volte il Giro d’Italia, nel 2020 e nel 2021, aggiudicandosi una tappa in entrambe le occasioni, ma nelle sue ultime cinque stagioni della sua carriera vince solo 11 delle 115 corse vinte in quindici anni di professionismo e, soprattutto, correndo in un anonimato cui non ci aveva abituati.
Cosa gli è mancato? Fra le grandi gare alla sua portata solo la Milano-Sanremo, che ha sfiorato in tantissime occasioni. Più in generale, un finale di carriera più degno della sua indubbia grandezza.
A cura di Fabio Alfonsetti
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