CATANIA – Che bel Catania. Finalmente. Sotto la pioggia di sabato, per chi si trovava sugli spalti ci sarebbero state tutte le buone ragioni per inveire contro freddo, acqua e abbigliamento sbagliato. E invece il vero rammarico era di tutt’altra forma e specie. Perchè al di là della giusta interruzione per pioggia, ciò che ieri è realmente mancato è veder capitalizzare così tanta bellezza e armonia di gioco.
Verticalizzazioni e ripartenze veloci. Ci si attendeva una Roma in forma e pericolosa nei fraseggi. Una Roma che avrebbe imbambolato l’Elefante e il gioco in mezzo al campo con i soliti noti, De Rossi e Totti su tutti. Ma non è stato così: l’abilità rossazzurra si è materializzata proprio laddove andava studiata una valida contromossa tattica. La concentrazione e la capacità di giocare centralmente, compatti nello spazio e attenti ai filtranti dell’avversario, sono state le armi che hanno permesso agli uomini di Montella di annichilire le speranze giallorosse.
Speranze che si sono riaccese solo per un errore di svista. Furbo il solito De Rossi che, conscio di aver riaddrizzato la partita, esultava al pareggio come se avesse segnato il gol della vittoria in una finale di Champions League contro il Barcelona.
Palloni recuperati sulla mediana e in difesa, fase del gioco in cui il Catania ha riscoperto anche quelle caratteristiche che sembrava avesse smarrito a cavallo delle vacanze natalizie. Velocità e gioco di squadra: bentornate. Addio al triste e sconsolato Gomez, addio ad un Pitu pieno di responsabilità e costretto ad affrontare difese schierate. Ma soprattutto che belvedere l’attacco con Bergessio. Benchè una partita non dimostri nulla e l’avversario abbia concesso molti spazi, questo Catania non può far a meno di un terminale offensivo che dialoghi con i compagni. Bergessio lo fa, si allarga e si accentra, si muove in orizzontale e in verticale senza dare all’avversario punti di riferimento, gioca a due o addirittura un tocco, verticalizza. Con Lopez, ci dispiace essere schietti, non va bene: il gioco si blocca, rallenta, la squadra sale confusamente e si arena, sbatte fragorosa come l’acqua sugli scogli. Lopez andrebbe affiancato quantomeno da un Bergessio. Perchè se gioca solo lì davanti, sono guai. Seri guai.
In una partita di soli 63 minuti, con Bergessio in campo, il Catania ha creato lo stesso numero di palle gol equivalente a quante ne aveva costruite nelle ultime tre uscite, derby compreso. Tutte partite in cui El Lavandina era seduto al fianco di Montella, in panchina. Per la salute della squadra e il piacere dei tifosi, ogni dubbio oggi sembra sparito.
Il Catania di ieri sera, per niente annichilito dalle condizioni atmosferiche, è stato incredibilmente aggressivo e al tempo stesso ordinato. La Roma di Luis Enrique, macchina di gioco e palleggio ormai rodata, come ammesso da tutti gli addetti ai lavori, ha trovato undici schegge di furore e velocità, ma ben disposte in campo. L’ordine che Montella ha impartito e insegnato è stato recitato alla grande. La vera intuizione è il modulo. Questa volta, rinunciare al preferito 3-5-2 è stato un bene e il merito di questa rinuncia è chiaramente da attribuirsi al tecnico campano. L’opzione di schierare un giocatore in un ruolo non propriamente suo, ad esempio un Alvarez alto a sinistra o con Llama e Izco esterni larghi della linea mediana a cinque, sarebbe stato un suicidio tattico, avvalorato a posteriori dal fatto che la Roma faceva male solo quando andava sulle fasce.
Contrariamente al passato, invece, Montella ha optato per la sua seconda scelta, il 4-3-3. Benché l’Aeroplanino abbia sempre smentito a voce che la forma non fa la sostanza e che importi poco il modulo con cui si è disposti in campo, la scelta di ieri ci è sembrata piuttosto azzeccata. Questo modulo è un’opzione valida quando non si hanno gli uomini giusti a disposizione per il 3-5-2. L’episodio di ieri dimostra che è meglio adattare il modulo agli uomini e non il viceversa.
Catania che cresce, insomma. È bene che la finestra di mercato si chiuda in fretta. Perché la vera fretta viene con la voglia di rivedere in campo undici schegge che si travestono da grande e mostrano una qualità di calcio mai viste nei dintorni. Perché a volte, i nomi non contano.
[Federico Caliri – Fonte: www.mondocatania.com]