MILANO – Giuseppe Pillon, ex allenatore del Cosenza, ha rilasciato un’intervista alla Gazzetta dello Sport. Queste le sue parole a cominciare dalle sue dimissioni: “Non mi sono pentito, ho messo in primo piano la salute e la responsabilità verso la mia famiglia, non era una decisione facile perché il calcio è la mia vita, ma è stato giusto. Quando siamo andati a Verona per giocare con il Chievo la squadra era spaventata, due giocatori non erano partiti e qualcuno non voleva neanche giocare. Ma l’AIC aveva spiegato che se non fossimo scesi in campo avremmo perso a tavolino. Lì ho capito che non potevo restare bloccato a mille chilometri dalla mia famiglia e poi se fai l’allenatore, devi restare concentrato, avere la testa solo sulla squadra, sapevo che non avrei potuto svolgere al meglio il mio lavoro. La società ha condiviso subito la mia decisione”.
L’ex tecnico del Pescara ha, poi, aggiunto: “Sono qui con mia moglie e i miei figli, entrambi fisioterapisti, ma è tutto fermo anche per l’altro mio figlio che abita a 5 chilometri da qui e doveva aprire un hotel. Sono uscito giusto un paio di volte in un mese e il rimpianto maggiore è non poter vedere il mio nipotino. All’inizio la situazione era tragica, forse il peggio è passato, per fortuna non abbiamo avuto vittime tra parenti e famigliari. Devo dire che Zaia si sta comportando bene, parla poco e lavora molto. Come siamo abituati a fare noi veneti”.
E infine: “Il calcio può ripartire? Spero di sì, ma ho qualche dubbio perché bisognerà imparare a convivere con questo virus e il calcio è uno sport di contatto che verrebbe stravolto. Non vorrei essere al posto di chi deve decidere”.
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