C.V.D. sta per “Come volevasi dimostrare”. Lo scorso anno si pensava che la Juventus avesse toccato il fondo, ma chi aveva preso le misure non aveva fatto i conti con Giuseppe Marotta: il geometra di un progetto senza senso, al quale hanno consegnato le chiavi del cantiere concedendo tutto.
Ed eccoci arrivati alla colpa principale del Presidente Andrea Agnelli, che non risiede nell’aver scelto il Direttore Generale, errore ereditato dalla gestione Blanc-Elkann, ma nell’aver avallato la costruzione di una squadra inopportuna, a prescindere dalle due stelline luccicanti sul petto.
A Giuseppe Marotta, da quando è arrivato alla Juventus, è stato consentito tutto, infruttuosamente. Ha ingaggiato alcuni calciatori per fare numero, altri li ha portati a Torino con dei macigni rappresentati dai diritti di riscatto che influiranno anche sul prossimo esercizio e ha avuto la possibilità di scegliersi anche l’allenatore: il fidato Luigi Delneri. Chiariamo un altro punto: le colpe del tecnico sono oggettive. Sbagliata la preparazione, approssimativa la gestione dello spogliatoio e giocatori fuori ruolo ad ogni incontro. Ma che colpa ne ha Delneri se si è ritrovato ad allenare la Juventus a 60 anni?
Cosa avrebbe dovuto fare, dire “no, grazie”? I limiti sono quelli di sempre, semplicemente Delneri non è allenatore da Juve. Ed allora le responsabilità sono di colui che lo ha portato a Torino ed adesso lo scarica per scongiurare la possibilità che rischi di saltare la scrivania insieme a tutta la panchina. Perché a quella scrivania, Marotta si è legato. Ha cercato sponsor forti all’interno del club, dimenticando che i risultati sono l’unico giudice. Avremmo salvato Marotta, sotto il profilo umano, se avesse difeso Delneri fino alla morte. “Se va via lui, allora lascio anche io”. Parole di questo tenore ci saremmo aspettati di leggere il giorno dopo l’umiliazione subita con il Bologna, invece abbiamo letto frasi come: “E’ sotto esame”, “Vediamo come va con il Milan…”. Cosa c’è da vedere? Meglio alzarsi quando si è capita la trama, inutile aspettare il finale. Prima parlavano di scudetto, poi di quarto posto, sabato si proclamavano 12 vittorie in 12 giornate. I tifosi della Juventus hanno per troppi anni mangiato caviale e bevuto champagne, per accontentarsi adesso del panino stantio di tre giorni fa.
Sabato a Torino ci sarà il Milan, che però oggi pensa alla grande sfida con il Napoli. Parlavamo di Direttori e responsabili di società: impossibile non rimarcare l’importanza in via Turati di Adriano Galliani. Uno che quando ha puntato su un allenatore lo ha difeso a spada tratta (vedi Leonardo con Berlusconi un anno fa). Uno che ha saputo fare il mercato anche senza 100 mila euro e che ha vinto in Champions League, quando i sondaggi di inizio stagione parlavano di quarto posto come obiettivo massimo.
Galliani è un modello da seguire per tutto il calcio italiano, anche quando gli davano del pazzo, perché tifava Inter, pur di non perdere quel quarto club in Champions League. Lunga vita a Galliani nel Milan, ma, se un giorno la Lega Calcio dovesse avere bisogno di un Dirigente di alto profilo, saprebbe dove andare a citofonare.
Il Catania sta risalendo la classifica; seconda vittoria interna, dopo una buona gara disputata a Napoli, l’impronta di Simeone su una squadra di carattere. Avevamo chiesto tempo per ricostruire dalle macerie di Giampaolo: l’attacco sta rispondendo, la difesa poco alla volta, migliora con un gol a partita negli ultimi 180 minuti. Il paradosso è come a Catania, alcuni Ultras, possano mettere in discussione l’operato di Pietro Lo Monaco. Le contestazioni mirate per ottenere scopi personali non hanno bisogno neanche di essere citate, ma quel che emerge dal lavoro di Lo Monaco è chiaro a tutti. Un mare di plusvalenze, una cittadella dello sport che in ottica futura vuol dire garanzia di sopravvivenza del club e risultati sportivi che da altre parti, con molti più soldi, si sognano.
Il modello Catania si ispira un po’ a quello dell’Udinese, il top in questo momento. Non ne parliamo oggi, dopo 7 gol a Palermo, lo facciamo da un po’ di settimane, da quando Guidolin ha consegnato al calcio italiano una squadra che diverte e dà spettacolo. Bellissimo vedere Sanchez segnare a raffica, con la sua ingenuità da sudamericano che continuava ad umiliare Sirigu, fin quando Guidolin non lo ha “obbligato” a sedersi in panchina. La famiglia Pozzo non vende a gennaio (vedi Inler e Sanchez), progetta per il futuro e dimostra una lungimiranza rara per i canoni italiani.
Il segreto di questa città potrebbe essere quello di vivere il calcio 90 minuti alla settimana; se Di Natale (napoletano atipico) ha deciso di passare la sua vita in Friuli sarà anche perché lì si può permettere una passeggiata in bicicletta senza essere travolto da domande e pacche sulla spalla. W Udine, con la speranza che il nostro sistema non faccia mai passare la voglia di investire nel calcio a gente come Giampaolo Pozzo.
[Michele Criscitiello – Fonte: www.tuttomercatoweb.com]
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