Ieri sera ho provato ad immedesimarmi in un “forestiero”, uno che è a Bologna per caso, che non conosce tanto bene la nostra città e ancora meno la nostra recente storia calcistica. Beh, ieri a Bologna c’era uno stadio con tanti posti vuoti, ma quel settore era pieno di tifosi carichi come molle. C’era il portiere azzurro, non solo per la maglia, e una squadra tutta vestita di arancione come l’Olanda.
Deve essere stata una partita importante, perché alla fine, al novantesimo, tutti, ma proprio tutti, erano così contenti che mancava solo un trofeo in mezzo al campo. L’allenatore con la cravatta sembrava Rocky quando sconfigge Apollo Creed, la musica prima dell’inizio dei giochi era “Eye of the Tiger” e non poteva che finire così, era destino. Un sogno. La realtà è che ieri sera abbiamo battuto al 90’, non giocando neanche tanto bene, ma con tanto tanto cuore, l’ultima squadra in classifica, l’unica che ha perso 4 partite su 4. E’ la squadra di Guidolin, quello che si esalta con le salite, salita che ieri sera abbiamo fatto noi.
Al novantesimo minuto, tutti, quelli che hanno fatto la tessera, quelli che invece hanno deciso di no, quelli che erano in maniche corte e quelli che avevano il piumino, gli inguaribili ottimisti e i “gufi maigoduti”, si sono uniti in un abbraccio, come fosse stata compiuta una grande impresa. Questa la magia che accade allo stadio, questa, che nessuna alta definizione, schermo lcd a 70 pollici potranno mai darti, perché quell’abbraccio con il vicino di posto che non conosci neanche, quello strombazzare di clacson e sventolare le bandiere, lo vivi solo lì. Pochi secondi prima di quella magia di Di Vaio ho pensato: “Malesani ne ha da lavorare nelle prossime settimane se vuole rendere competitiva questa squadra….” Poi quel guizzo, quel lampo, quel momento, ed è quel momento che gli darà una infinita energia per lavorare con questi ragazzi. Buon lavoro Mister.
[Edi Simoni – Fonte: www.zerocinquantuno.it]