Il fatto è che ieri sera, mentre rincasavo, me l’ha detto Carmelo, il mio vicino di casa, che è di Avellino e ha sempre tifato per i Lupi, si, ma quelli dell’Irpinia, quelli del “Partenio”, non dell’Olimpico.
Appena ha saputo di Zeman, è impazzito, si è fomentato. Il calcio che (anche) dalle sue parti hanno visto con il boemo lui non può dimenticarlo, non c’è stato nulla di simile. A prescindere da quelli che furono i risultati, sui quali come al solito incisero molte varianti, anche extracalcistiche.
Esiste un altro personaggio, nel mondo del calcio, che attualmente riesca nel miracolo di creare proseliti anche al di là della fede e dei colori di appartenenza? Esiste un altro allenatore capace, soltanto con tre consonanti intervallate da due vocali, ad evocare divertimento, senso estetico, soldi ben spesi anche in un periodo di magra come questo?
Tutto deve ancora (ri)cominciare e già le credenziali dell’entusiasmo stanno facendo il miracolo, tra noi romanisti e tra quelli che felicemente sentono l’istinto di aggregarsi, sotto il segno della sacra Zeta. Ce ne sarebbe già abbastanza per il Cavalierato del Lavoro, nel senso più nobile del termine: un premio, cioè, alla cultura dell’impegno, dell’intrapresa e della resa che nobilita i mezzi a disposizione, attraverso il miglioramento costante delle potenzialità di partenza, come un Vignaroli che segna goal a grappoli, tanto per fare un esempio.
E poi c’è una parola chiave, talmente anti-italiana da risultare, di questi tempi, ancora più fulgida di quanto non sia già in partenza: meritocrazia. Qualcuno può anche averla dimenticata, giustificatissimo peraltro. Zeman la ripropone, anzi la incarna: vengo da te, aderisco al tuo progetto (stavolta senza ironia), perché so che mi farai divertire; aderisco quindi anche conoscendo i calcolati rischi che mi farai correre, aderisco persino se non sono romanista, perché mi piace l’Idea e l’Idea non va mai confusa con l’utopia, questo pretendono di farcelo credere i profeti del “Così va il mondo”, quelli che non fanno altro che ricordare un 4-5 contro il Ronaldo più forte di sempre ma che omettono di citare centinaia di episodi a metà tra il malaffare calcistico e la sudditanza arbitrale dei mediocri.
Pochi personaggi, del mondo del calcio e della vita pubblica in generale potrebbero essere citati e portati ad esempio nelle scuole; perché essere vincenti e basta può voler dire magari affascinare i ragazzi, non necessariamente insegnargli qualcosa. Quest’anno, ad esempio, hanno vinto anche Balotelli e Buffon, ma tra imbarazzi, maldestre giustificazioni e ed eccessi compulsivi cosa mai hanno insegnato?
Zeman, oltre a vincere un campionato (piccolo dettaglio trascurato dai detrattori a prescindere), lo stesso per cui venne esaltato tale Antonio Conte a Siena, ha ancora una volta veicolato, oltre alla succitata meritocrazia, anche il valore altissimo dell’autostima, della gioia che riserva il saper credere nei propri mezzi: sarebbe comodo puntare tutte le mie richieste sull’ingaggio di partenza, ma io preferisco i premi e non un premio qualsiasi, ma quello di chi gioca la fiche sul massimo risultato, che per il Pescara era la promozione nella massima categoria. Come per il Barcellona del 2009 era vincere Liga, Copa del Rey e Champions League e su quella fiche puntò infatti Guardiola, un altro che in una scuola avrebbe qualcosa da dire, da veicolare, da insegnare con l’esempio e non con le pedanterie dei cattedratici. Come Messi che partiva dal basso, del resto.
I gradoni non sono soltanto un ostacolo per quadricipiti e retti femorali, non solo un moltiplicatore di acido lattico a beneficio della resistenza progressiva; i gradoni sono anche una metafora: riportano a terra, là dove cadranno a migliaia le gocce di sudore, il pallone e i suoi interpreti, perché la prima cosa che ha scordato il calcio, prima ancora della moralità, del buon senso e del rispetto della gente, sono le radici. Non è un caso, non solo un’approssimazione linguistica, che Zeman dica “al campo”, come ha fatto anche in conferenza, per identificare quella che dovrebbe essere la comunità del pallone: i giocatori che attraverso la fatica si prodigano per lo spettacolo, la gente che di quello spettacolo si nutre. Sempre tendendo al massimo risultato ottenibile, che da’ senso a tutto ma che la realtà delle cose non garantisce. A meno che non subentrino tutte quelle varianti che hanno impedito a Zeman di frequentare, in questi anni, quegli ambiti che gli erano dovuti, per merito e per professionalità.
Ecco perché Carmelo, il mio vicino di casa avellinese, non vede l’ora di abbonarsi alla Roma. Come dargli torto?
[Paolo Marcacci – Fonte: www.forzaroma.info]
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