Da un atto di coraggio – non necessario – al mea culpa finale – apprezzabile. Nel mezzo, la sconfessione delle proprie scelte e uno spettacolo obbrobrioso. Quante volte si è detto: a questa Lazio, di dolore ostello, serve semplicità. Ritrovare le cose semplici, fare le cose semplici. Se i freni non funzionano e davanti a te hai il semaforo rosso, tentare un sorpasso o viaggiare su due ruote non è di grande aiuto. Allo stesso modo, a questa Lazio serve forse sperimentare tutta la settimana la difesa a tre, presentarsi a Genova con questo assetto per poi ritornare dopo neanche mezz’ora alla linea a quattro? Che aiuto può offrire una peripezia del genere a una squadra in crisi di risultati? Non di gioco: per essere in crisi di gioco, bisogna prima averne conosciuto uno. E non è questo il caso biancoceleste. “Ho dato una piccola mano per non far brillare la squadra“, l’ammissione di Petkovic gli fa onore. Certo che la mano per non far brillare la squadra non è stata proprio piccola piccola.
E il ripudio delle proprie scelte non ha fatto che aumentare l’instabilità in una formazione già precaria. Lo scorso anno ci fu il famoso “passo indietro”, con la difesa a tre accantonata già in estate e il collaudo del fu glorioso 4-1-4-1. In questa stagione per i passi indietro si fanno con la rincorsa, con gli occhi bendati su un strada già buia. Se vuole raddrizzare il più possibile un campionato in buona parte compromesso, la Lazio ha bisogno di sem-pli-ci-tà. Di non sbagliare ogni sacrosanto passaggio, altrimenti in porta come ci arrivi? Di non lanciare ancora una volta dal primo minuto Keita, sperando che salvi ancora una volta la baracca, per poi toglierlo dopo neanche un’ora. Se si vuole gestire, centellinare questo talento in erba, meglio non farlo proprio partire titolare. E magari inserirlo in corso d’opera, con la possibilità che dia il cambio di passo ai compagni. E poi l’asse mancina, formata dallo spagnolo e da Lulic, è sembrata più propositiva rispetto all’asfittica fascia destra: Konko ha tentato due apprezzabili sortite offensive e poco altro, Candreva ha brancolato in campo senza entrare mai in partita.
É chiaro anche che la coppia Ledesma-Onazi non può offrire molta inventiva: è una combinazione assai più utile quando l’avversario davanti ti induce a coprirti, non certo quando sei tu che devi vincere a ogni costo. Dall’altra parte, una Sampdoria piegata in ginocchio da un inizio di campionato disastroso, ha saputo trarre beneficio dalla scossa Mihajlovic. Che una cosa è riuscito a fare: infondere coraggio ai propri uomini, ma soprattutto semplicità. Dopo l’espulsione di Krsticic, Sinisa ha chiesto copertura ai suoi e rapidità nel ripartire. E contro una Lazio allo sbando, dove anche Marchetti respinge in stile pallavolistico un pallone che andava smanacciato in angolo, il gol è arrivato. Perché a una nave in gran tempesta come la formazione biancoceleste, il nocchiero non riesce in alcun modo a raddrizzare la rotta. Ma finisce per contorcersi in peripezie tutt’altro che benefiche. Già l’imbarcazione messa a disposizione dall’armatore presenta falle da tutte le parti, complicarsi la vita non serve. É arrivato il momento di cambiare timoniere? Probabilmente. Ma all’orizzonte di soluzione valide non se ne vedono. E una di queste se l’è presa proprio la Samp.
[Stefano Fiori – Fonte: www.lalaziosiamonoi.it]