ROMA – “Torniamo alla normalità”: con queste parole si presentò alla Roma il 21 giugno del 2005, quasi undici anni fa, Luciano Spalletti, che oggi torna nella Capitale per riprendere il comando di una barca molto diversa da quella di allora, ma con non tanti meno problemi di quella che condusse negli anni alla vittoria di due Coppe Italia e una Supercoppa Italiana. Quei trionfi giunsero grazie a un sistema di gioco che qualcuno si aspetta possa essere rimesso in piedi: niente di più sbagliato.
Il tecnico di Certaldo arrivava alla Roma con in dote un quarto posto e una qualificazione al terzo turno preliminare di Champions League con l’Udinese, che schierava con un offensivo 3-4-3 guidato dal trioDi Natale-Iaquinta-Di Michele; anche allora ci si aspettava che quel modulo fosse traslato e cucito sui giocatori della Roma, ma era impensabile principalmente perché la società doveva scontare un blocco del mercato – sospeso solamente per qualche settimana, il tempo necessario a innestare qualche rincalzo come Rodrigo Taddei, Shabani Nonda, Houssine Kharja ed Edgar Alvarez – e dunque bisognava lavorare con il materiale a disposizione. Nel primi ritiro, estate 2005, Spalletti lavorò su un 4-2-1-3 che esaltasse le caratteristiche di Francesco Totti, pronto a combinare con Mancini a sinistra, ad aprire il gioco in ampiezza con Taddei a destra e a fornire più palloni possibili al centravanti, che poteva essere Vincenzo Montella (reduce da un campionato da 20 gol, ma in fase calante vista l’età) o Shabani Nonda. Un progetto tattico destinato a morire sul nascere a causa di troppi fattori: rosa corta, infortuni a rotazione e la sete di risultati immediati dopo una stagione da dimenticare, oltre al caso-Cassano, in rotta con squadra e ambiente e in scadenza di contratto nel successivo giugno, impedirono di lavorare su un unico modulo di gioco.
Il girone d’andata del 2005-2006 fu quindi un susseguirsi di tentativi di ogni genere: dal 4-3-3 con Totti e un centravanti alla difesa a 3 messa in campo nel secondo tempo della partita con l’Empoli, con risultati mediocri e un solo picco, la vittoria per 2-3 in casa dell’Inter di Mancini, con cui avrebbe ingaggiato il duello principe delle successive annate. La svolta, come tutti ricorderanno, è datata 18 dicembre 2005: nella famosa partita di Marassi contro la Sampdoria, Spalletti, senza più attaccanti disponibili, utilizzò Totti come riferimento avanzato e quattro centrocampisti, Taddei, Aquilani, Perrotta e Tommasi, sulla linea tra il Capitano e il mediano De Rossi, dando genesi alla prima delle due varianti di quello che fu ribattezzato anche 4-6-0, poi, con il rientro di Mancini, modificato con una linea a tre alle spalle del numero 10. Il roaming offensivo di Totti, i tagli da sinistra di Mancini, gli inserimenti centrali di Perrotta, l’equilibrio di Taddei erano le caratteristiche più evidenti di un sistema di gioco che avrebbe portato alla Roma prima le undici vittorie consecutive e poi gli occhi dell’Europa intera oltre ai già citati trofei, ma che Spalletti ebbe il coraggio e la voglia di cambiare una volta esauriti gli effetti benefici.
Nella stagione 2008-2009 la Roma era in netta difficoltà sia in campionato che in Champions League: proprio in una partita di coppa contro il Chelsea il tecnico operò il nuovo cambiamento, schierando la squadra con un 4-3-1-2 con Totti e Vucinic di punta e a turno Pizarro e Perrotta alle loro spalle, con funzioni di rifinitura l’uno e di supporto l’altro, cambiamento che permise ai giallorossi di reinventarsi, salvo poi crollare nel finale di stagione, martoriati da infortuni e problemi di altro tipo. Persino nell’ultimo ritiro sotto la sua gestione, Spalletti tentò una nuova modifica, provando un 4-2-4 con Totti, una punta e due esterni (in quell’estate tornò in giallorosso Alessio Cerci e fu prelevato Stefano Guberti a parametro zero), evidente segno che il toscano è ben lontano dall’essere un allenatore legato a doppio filo a un unico modulo, come ha dimostrato anche allo Zenit San Pietroburgo, che ha fatto giocare con un 4-3-3 classico, un 4-2-3-1con un uomo d’estro come Danny al centro della linea dei trequartisti e anche con unadifesa a 3/5 e un atteggiamento accorto che probabilmente è stata la causa del suo rendimento europeo, decisamente diverso da quello offerto in giallorosso.
Sarebbe dunque fantasioso e limitativo riesumare brandelli di passato, tra l’altro poco adattabili a una rosa che manca di diversi giocatori con le caratteristiche di quelli di allora (un terzino completo, un regista basso e un falso 9). servirà invece avere le idee chiare su quello che il roster può dare e cucirle un vestito a esso adatto. Se si è scelto di correre immediatamente ai ripari e non di attendere con un traghettatore, significa che si crede ancora di poter salvare questa stagione e bisognerà essere veloci a trovare il modo per farlo.
[Gabriele Chiocchio – Fonte: www.vocegiallorossa.it]