Dalla parentesi nell’Isola dei primissimi anni Ottanta a una lunghissima esperienza nei campi della provincia italiana che l’ha portato a conoscere e allenare, tra gli altri, anche quel Marco Parolo che attualmente è al centro dei desideri della società di Viale La Playa: TuttoCagliari.net ha avuto modo di sentire, in via esclusiva, l’ex stopper Stefano Di Chiara, fiero portabandiera del gioco del calcio inteso nei suoi valori umani e sportivi più veri. Ex, tra le altre, di Lazio, Lecce e Genoa da giocatore e allenatore navigato da ormai vent’anni a questa parte, Di Chiara ha accettato con estrema disponibilità di raccontare il suo pensiero ai lettori di TC.
Che ricordi ha della sua esperienza a Cagliari, che tra le altre cose segnò il suo esordio in A?
Quella di Cagliari fu un’annata particolare: ero un ragazzo giovane, sposato da poco e avevo avuto da poco tempo un figlio, quindi ci furono tante cose che non mi permisero di esprimermi come potevo. Mi porto comunque dietro amicizie forti come quella con Riva, che mi volle appunto in Sardegna, dove trovai un ambiente splendido. Avrei poi incontrato nuovamente il Cagliari in futuro, anche nel 1987 quando poi fu un Cagliari-Lecce a sancire la retrocessione dei sardi in C1.
Si sente ancora con qualche compagno di allora?
Ormai è da parecchio tempo che non mi sento con i compagni di allora, ma ce ne sono parecchi di cui conservo un ottimo ricordo: Quagliozzi, Goletti, Marchetti, Gattelli, Virdis, Piras. Sono quasi tutti usciti dal mondo del calcio, quindi non c’è più molta occasione di reincontrarsi.
C’è qualche giocatore del Cagliari attuale in cui Stefano Di Chiara si rivede?
I difensori di una volta ormai non esistono più, e questo è un peccato visto che un tempo era l’Italia a fare scuola in materia. In questo senso trovo che Astori sia uno dei migliori giocatori italiani in prospettiva e che soprattutto il fatto di comporre una coppia di difensori “antichi” insieme con Canini abbia consentito al Cagliari di poter disputare buone stagioni come negli ultimi anni.
Per ciò che invece riguarda il Di Chiara allenatore invece le domando: quali rossoblu la colpiscono maggiormente dal punto di vista tecnico?
A me piace tantissimo Nainggolan, così come uno che ormai gioca da tanti anni come Conti, e inoltre il Cagliari riesce sempre a trovare degli attaccanti prolifici. In questo senso non si possono non dare dei grandi meriti a Cellino, che in un calcio consumistico come quello di oggi è riuscito a fare tanto pur disponendo di poco, mantenendo così una società sana sempre ai più alti livelli. Questo è un tipo di calcio in cui è difficile riconoscersi per chi come me ha avuto modo di giocarlo in un’epoca dove i valori erano diversi: io esordii nel Cagliari, appunto, ma avrei dovuto esordire nella Lazio proprio contro il Cagliari; non andò così perché c’era Riva da marcare e al mio posto giocò un veterano. Riva è in questo senso l’emblema di quel calcio vero, fatto di giocatori di carisma e di attaccamento alla maglia: un attaccante che avrebbe giocato titolare in tutta Europa ha preferito far diventare grande una squadra piccola come il Cagliari di allora. Il calcio di oggi, in questo senso, è da ritenersi “finto” e personalmente non mi ci ritrovo più. Io penso che per migliorare il calcio del futuro bisogni saper guardare al passato. Prendiamo anche il caso calcioscommesse.
Negli anni Ottanta ci fu un caso scommesse che fu gestito decisamente con ben altra severità rispetto ai giorni nostri.
Io non c’ero dentro e non so come sono andate le cose, ma basta vedere anche il minor richiamo che va man mano assumendo la vicenda, che dalla prima pagina sta poi finendo quasi con lo scomparire dai giornali. E oggi, di certo, ci sono anche le intercettazioni telefoniche a parlare, a differenza di allora.
Tra gli obiettivi di mercato del Cagliari c’è un giocatore che lei ha conosciuto a Pistoia, quel Marco Parolo che è stato una delle rivelazioni del campionato appena concluso. Immaginava una crescita simile da parte del calciatore?
Parolo è un ragazzo serio, un centrocampista duttile e completo che non è né un regista né un’incontrista, un giocatore in grado di fare sia la fase difensiva che quella offensiva ma adatto più a un centrocampo a tre che non a quattro, diciamo un Perrotta con caratteristiche tecniche diverse. Ce ne sono tanti in Lega Pro che hanno le qualità di Parolo ma non hanno modo di emergere.
Lei è un profondo conoscitore della realtà della Lega Pro: qualche nome interessante già pronto per la A?
I nomi sarebbero tanti ma bisogna provarli. A me fa sorridere il fatto che oggi a Parolo sia data una valutazione di otto milioni: Parolo è lo stesso giocatore che tre anni fa giocava in C nel Foligno e che poi ha vinto i campionati con Bisoli sia in Umbria che poi a Cesena, e se non avesse fatto questa trafila non sarebbe probabilmente mai arrivato in A dove, appunto, gli è stata data fiducia e ha dimostrato di poterci stare benissimo. Un caso emblematico di quanto dico è rappresentato da un giocatore che ho allenato in passato, D’Ainzara. Era un giocatore con ottime doti tecniche e grande personalità, ma aveva il difetto di essere un trequartista in un calcio in cui quel ruolo non era previsto, così la sua carriera si sviluppò prevalentemente in serie C. Proprio per questo io farei una squadra tutta italiana con il meglio del meglio delle squadre Primavera: sono certo che si otterrebbero ottimi risultati.
A proposito di calciomercato, sino a questo momento pochi i colpi messi a segno, mentre il mercato degli allenatori è costantemente in fermento. Giusta la scelta di Inter, Juve e Roma che si sono affidate a tre outsider rinunciando a nomi di grido per la panchina?
Trovo che il calcio italiano vada molto per mode. Senza nulla togliere a Gasperini, così come è capitato con Allegri, sino a vent’anni fa non sarebbe mai successo che dei tecnici esonerati da Genoa e Cagliari avrebbero poi trovato spazio nelle panchine di squadre così prestigiose. Peraltro la figura dell’allenatore sta perdendo anche in centralità, visto che oramai gli staff che si portano dietro sono sempre più nutriti e a volte rappresentano delle spese evitabili. Inoltre, questo voler puntare necessariamente sui giovani sta eliminando quella gavetta che una volta stava alla base di questo mestiere. Un esempio è Montella, che preso dalla squadra Giovanissimi non ha fatto fare il salto di qualità alla Roma, ma penso anche a Di Francesco che si ritrova in A dopo una sola stagione di B con il Pescara, nemmeno eccessivamente positiva. Lo stesso discorso vale per Luis Enrique e Villas Boas, bravi sinché si vuole ma anch’essi probabilmente più “di moda” che altro. Io ho avuto un maestro come Mazzone e a quei tempi c’erano tanti allenatori di spessore e di carisma, basti pensare anche a Liedholm, ben lontani dai giovani che oggi si buttano allo sbaraglio. Penso in questo senso anche a Zeman, uno dei pochi che ha il coraggio di dire le cose come stanno oltre che un allenatore che, per quanto possa essere condivisibile o meno il suo modo di interpretare il calcio, ha ottenuto dei risultati dimostrando grande personalità. Il problema, per l’appunto, è il troppo pressapochismo: basta entrare nei giri giusti ed è più facile stare dove non si merita, annientando completamente la gavetta. Penso a un episodio avvenuto quando allenavo il Siena in C1 e salvai una squadra destinata a retrocedere: i miei si allenavano a porte chiuse, quando mi dissero che un addetto ai lavori voleva dare un’occhiata agli allenamenti. Mi feci dire il nome ed era un certo Burgnich: io dissi di farlo entrare e dargli una poltrona d’onore, perché è uno di quelli che ha saputo veramente portare in alto il nome del calcio.
In conclusione, quali sono i progetti futuri di Stefano Di Chiara?
Se me lo fanno fare, vorrei poter fare l’allenatore, ma inteso come uomo di campo, senza alcun interesse per la cura delle pubbliche relazioni o degli altri aspetti che non hanno a che vedere con la gestione del gruppo. Io ho un rapporto fisico e passionale con questo sport, la mia famiglia, con un fratello e un figlio che hanno preso questa strada, lo vive in questa maniera e siamo sugli almanacchi da oltre trent’anni. Proprio per questo troviamo che sia un peccato vederlo ridotto così.
[Nicola Adamu – Fonte: www.tuttocagliari.net]
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