Analizziamo la gara tra Lecce e Catania nei suoi aspetti fondamentali.
INSONNIA? TROVATO RIMEDIO
Potrebbe essere utile come spot pubblicitario: “Soffri di insonnia? Tranquillo, da oggi non è più un problema. Dopo anni di ricerca abbiamo trovato la soluzione: guarda l’anticipo della domenica, ti garantiamo che dormirai per almeno una settimana. Soddisfatto o rimborsato”. Si scherza, il sorriso rende tutto più leggero. Ma, alla fine, un fondo di verità c’è. Giocare a quest’ora, al sud, è pesante, troppo.
Ne va dello spettacolo, ne va del numero di spettatori allo stadio che, in un periodo nel quale ci si lamenta per la disaffezione a curve e tribune, risente ancora una volta di una scelta strana, mossa solo da interessi economici in uno sport che, purtroppo, non lascia più spazio a ciò che muove da decenni il mondo del pallone: la passione. Quella appena espressa è una considerazione che esula dalla partita, che nulla vuole avere a che vedere con il commento tecnico alla gara. E’ soltanto l’idea di un tifoso tra tanti, di uno spettatore di uno spettacolo (scuserete il gioco di parole) quasi privo di emozioni, di uno sportivo che ha trovato quest’oggi nel calcio l’occasione per una pennichella e che, alla fine, ha dovuto lottare per non addormentarsi in quello che considera lo sport più bello del mondo.
E ORA IL MATCH
Il Catania parte in quarta, sembra non essere trascorsa una settimana tra il secondo tempo col Bologna e la gara odierna: la squadra corre, si sacrifica, crea e spreca pure. Tutto per quindici minuti, i primi. Lopez, strano ma vero, non mette dentro uno di quei palloni fatti per lui: Mascara lo serve con un cross teso, lui calcio colpendo il portiere. Sfortuna sì, ma manca quel pizzico di convinzione necessaria per portare a casa punti e risultati.
LAMPI TRA LA NOIA
Detto del buon avvio del Catania, a seguire è una fase della partita dove a trionfare è la noia. Già, perché quando al ventesimo trovi, in un momento di pausa, più di metà squadra con mani sui fianchi e fiatone, è difficile pensare ad altro. I ventidue in campo, sotto i venticinque ed oltre gradi di Lecce, stentano su tutti i fronti, commettendo una miriade di ingenuità a centrocampo ed in fase di impostazione. Gli unici brividi arrivano su azioni quasi casuali, frutto di ispirazioni personali più che di un gioco di squadra: così il tiro di Olivera che impegna Andujar e l’occasionissima per Lopez che, a portiere battuto, si vede ribattere in angolo il pallone da Fabiano proprio sulla linea di porta. E, tra i lampi, arriva pure il tapin vincente di Corvia su assist di Olivera. Il Lecce, senza neanche crederci, chiude l’intervallo in vantaggio.
E’ TUTTO INUTILE
La ripresa inizia con l’ingresso di Ledesma al quale seguono quello di Antenucci e Gomez. A metà ripresa per Giampaolo sono già esauriti tutti i cambi. Mosse comprensibili, pure condivisibili quanto inutili. Ai demeriti di un Catania meno tonico e convincente del solito, si aggiungono due fattori, altrettanto validi, che rendono vana qualsiasi iniziativa offensiva dei rossazzurri: la stanchezza e l’atteggiamento difensivista del Lecce. Sul primo fattore si è già detto tanto, sull’altro va evidenziato come De Canio rinunci a qualsiasi idea offensiva, puntando esclusivamente su undici uomini dietro la linea del pallone con l’unica eccezione di Corvia, lasciato isolato lì davanti.
LEZIONE DI UMILTA’
Sia chiaro: la prestazione del Catania è apparsa meno convincente del solito, non superficiale. Ma, una sconfitta, può anche essere salutare. Se fino a domenica scorsa si parlava di vetta, di settimana da capolista, con la sconfitta di oggi sono termini che, probabilmente, non sentiremo più. Tanto meglio, perché da subito è necessario fissare gli obiettivi, concentrarsi sulla realtà e non sui sogni che, a volte, sono solo illusioni che, per quanto belle, diventano assolutamente negative. “Terra” chiama “Catania”, “Catania” deve rispondere solo “Salvezza”.
[Fabio Alibrio – Fonte: www.mondocatania.com]