MILANO – Il coronavirus, che dilaga nel mondo con un bilancio in termini di vite umane che si aggrava di giorno in giorno, ha scatenato un terremoto anche nel mondo del calcio. Il ministro dello Sport Vincenzo Spadafora definisce “irrealistica” l’ipotesi di riprendere il Campionato italiano il 3 maggio, le finali di Champions League ed Europa League sono ufficialmente rimandate a data da destinarsi, gli Europei si disputeranno nel 2021. Mentre i tifosi sono in attesa di scoprire quando potranno rivedere in campo i loro beniamini e la FIGC chiede al governo di riconoscere lo stato di crisi, cosa succede nel cervello dei calciatori? Come stanno vivendo psicologicamente questi momenti di trepidazione? Ma soprattutto quali gli effetti della quarantena sul loro cervello e sulle loro prestazioni mentali? Quali i rischi quando ci saremo lasciati alle spalle quest’emergenza e alla ripresa del campionato (se avverrà)? A queste domande vuole dare una risposta il progetto scientifico “Italian Footballer Mental Health during emergency Covid-19. Risks factors and preventive Serie A, B e C Club’s actions” diretto dal Prof. Aiace Rusciano con l’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR di Padova.
“Il lungo periodo di quarantena dovuto al Covid-19 può avere serie ripercussioni sulla salute mentale dei calciatori. Questo è il rischio più concreto a cui va incontro il mondo del calcio. Purtroppo i Club di Serie A, B e C non lo stanno prendendo sufficientemente in considerazione”. Esordisce così il Prof. Aiace Rusciano, già neuropsicologo e neuroscienziato di AC Milan – Milan Lab, oggi responsabile del Lab di monitoraggio psicofisiologico di AC ChievoVerona, consulente per gli Sport Brain Analytics per la multinazionale dei Big Data Oracle e psicologo di vari campioni dello sport, dopo una lunga esperienza negli ospedali e nei laboratori di ricerca dediti alla riabilitazione neuropsicologica di pazienti affetti da lesioni cerebrali.
“In questi momenti di profonda incertezza, costellati di decisioni discusse, prese e comunicate a ritmi convulsi, le condizioni di stress aumentano. Ansia, incertezza, rabbia e sbalzi d’umore sono condizioni a cui il cervello dei calciatori professionisti è largamente abituato ad adattarsi, ma attraverso il linguaggio del corpo, della prestazione fisica. In questo momento alcuni potrebbero trovarsi preoccupati e ‘sguarniti’, sentirsi isolati, in uno spazio mentale ‘nuovo’ che non permette loro di reagire. L’emergenza del Covid-19 è una maratona mentale che non richiede sprint o gesti repentini e potrebbe mettere i calciatori in uno stato di vulnerabilità psicologica, aumentando il rischio di infortuni in caso di rientro”.
Da una recente review pubblicata su The Lancet emerge che, durante l’epidemia di SARS del 2004, il 29% della popolazione in quarantena ha manifestato sintomi da disturbo da stress post-traumatico (PTDS) e il 31% da depressione (cfr. https://doi.org/10.1016/S0140-6736(20)30460-8). Il progetto scientifico coordinato dal Prof. Rusciano si propone proprio di monitorare la capacità di resilienza dei calciatori. Le analisi preliminari svolte in forma anonima sottolineano che i calciatori hanno una più elevata capacità di gestire gli stress mentali rispetto ai non atleti professionisti e tendono a informarsi di più rispetto agli staff del Club (la media è di 1,88 ore al giorno contro 1,31). Se però, per l’entourage tecnico e la dirigenza, l’abitudine di tenersi aggiornati porta a sentirsi meglio fisicamente (tendenza R=0.38), per gli atleti ha l’effetto contrario: più aumenta il flusso di informazioni ricevute da giornali e TV, più sentono vacillare la loro salute fisica (tendenza R=-0.37) e psicologica (R=-0.27). “Questi primi dati meritano di essere presi in seria considerazione, perché ci dicono che fino al 20% dei calciatori rischia di incorrere in patologie depressive, disturbo da stress post-traumatico, somatizzazione, panico, ansia o insonnia”, spiega il Prof. Aiace Rusciano.“Tra i calciatori che si sentono in difficoltà, per giunta, nove su dieci si dimostrano reticenti a chiedere apertamente aiuto”.
“Sottovalutare questo rischio potrebbe costare molto caro ai Club, perché la salute psico-fisica degli atleti, in particolare il loro cervello, è il capitale più prezioso”, continua Rusciano. Gli stati cronici di stress inficiano l’efficienza a livello neuronale, fisiologico e psicologico. Un esempio? I Big Data e Brain metrics analizzati da Rusciano nell’arco dell’ultimo decennio attestano che un calciatore dal valore economico di 15-20 milioni di euro presenta una velocità di elaborazione degli stimoli ambientali di circa 140msec (le persone comuni si aggirano intorno ai 250-300 msec). Nel momento in cui questo calciatore va incontro a una fase depressiva o ansiogena sub-acuta – che viene trascurata fino a diventare acuta e infine cronica –, i circuiti dei lobi frontali del suo cervello non riescono più a reagire in modo così efficiente. Le conseguenze si vedono in campo: il calciatore arriva in ritardo sul pallone, è più confuso, fa più fatica a leggere il gioco e anticipare le azioni degli avversari, è demotivato, facile alla depressione e a esplosioni di entusiasmo. Tutti questi fattori sono direttamente correlati al numero di goal, assist e al rischio di infortunio nella fase di rientro.
“I Club di Serie A, B e C si stanno mostrando estremamente attenti alla propria tenuta economico-finanziaria e alla salute fisica della squadra. ma devono agire utilizzando le tecnologie per smart working anche nel calcio. Le condizioni psicologiche e fisiologiche di ogni calciatore vanno monitorate a distanza grazie alle nuove tecnologie, per farsi trovare pronti in caso di ripartenza del campionato. Al ChievoVerona stiamo utilizzando apparecchiature mobile health per HRV (Heart Rate Variability) e sonno, questionari standardizzati web-based, sedute di lavoro specifiche a distanza”.
Il progetto scientifico CUI-CNR coordinato dal Prof. Rusciano misura la capacità di resilienza, ossia di adattamento allo stress. La mente del calciatore è la sede del suo talento e governa i suoi piedi. Il questionario di ricerca web-based anonimo a cui stanno partecipando vari Club di A e B, C è articolato in diversi step:
“È necessario prevenire prima che curare – conclude il dottor Aiace Rusciano –. È evidente che il mondo dello sport è nel mezzo di una bufera e tutti dobbiamo fare la nostra parte. In questa fase di difficoltà, le società calcistiche possono accelerare la cultura interna organizzativa con l’uso delle nuove tecnologie, crescere nella gestione dei dati e nella coesione interna, facendosi trovare ancora più pronte quando si ripartirà”.
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