Una Juve quasi imbrigliata, che vuol dire? Carattere. Che scrivere una poesia, è qualcosa di duro. Quasi ce l’aveva fatta, la Lazio. Quasi era riuscita a far evaporare con tutta la pazienza necessaria le spinte prepotenti della Juventus, gli strattoni dati alla corda della partita per ottenere la vittoria, e conservare il primo posto. La Lazio di questa sera, in quella che Reja ha definito “una gara sofferta“. Da Sky, nel prepartita, era già giunta voce che questa fosse gara adatta alla Lazio. Che i giocatori di Reja avessero questo match nelle corde. A Torino questa Lazio sottovalutata, da sempre e per sempre, forse perchè priva del fascino esotico di progetti disneyani, o della favola da eterna Cenerentola che avvolge la compagine di Guidolin. Forse questa è una Lazio priva di fascino, operai, sporca di fuliggine e fatica, dal momento che non può contare sulla perfetta sincronia musicale dei tre tenori alla corte di Mazzarri.
Eppure, nonostante tutto, è ancora al terzo posto. Nonostante non abbia fascino, nè tenori, nè fiabeschi osservatori in giro per il mondo a rapire talenti. Nonostante a volte si muova con fatica pachidermica, è sempre là. Scrivere una poesia è l’evento più duro che possa capitare. Una Juve quasi imbrigliata, che vuol dire? Ogni parola è un sasso da portare in cima, con estrema lentezza, sapendo che ad ogni passo corrisponderà fatica, ad ogni respiro dolore ai polmoni, ad ogni metro, spasmo muscolare. Questa era gara adatta alla Lazio, perchè la Juventus è squadra di carattere. Questa è gara da Lazio, perchè è squadra di carattere. E, quel che conta di più, questo carattere la rende squadra forte. Appena cala la determinazione, la stretta dei denti, arriva la sconfitta. Questa Lazio a Torino ha scritto un altro piccolo pezzo di stagione, perfettamente coerente con quel che di positivo ha fatto vedere fino ad ora: una squadra che non molla un metro, che non concede spazi, ermetica, nel senso di chiusa perfettamente, ermetica, nel senso di concreta e puramente conclusa in poche parole, parole di poesia.
“I forti fanno ciò che devono fare, e i deboli accettano ciò che devono accettare“. E lo diceva chi di storia se ne intendeva, tal Tucidide, solo uno dei più grandi. I forti stasera hanno fatto quel che dovevano fare. La Juventus ha messo in campo tutta la sua potenza di fuoco, verticalizzazioni brucianti, scatti forsennati, proteste vivaci, furibonde, tutto il suo furore agonistico. E dall’altra parte, una squadra paziente, che stroncava ogni attacco, che regalava un metro a prezzo di tutta la fatica di una partita intera. Una squadra intenta a costruire duramente una poesia, portando lentamente una pietra dopo l’alta, minuto dopo minuto, azione sventata dopo azione sventata, il risultato a casa. E le forze della Juve in rapide gocce a terra, e le forze della Juve in vapore verso il cielo buio di Torino, evaporate pian piano. Una sola occasione, un gol, e per il resto metro per metro, Marchetti sugli scudi, e la Juve a faticare tremendamente, sempre più stanca, e scoraggiate. E se non fosse stata illuminata da un tratto rapido alla partita, e alla stagione, un tratto di colore del Pinturicchio Del Piero, questa Juve che ha dominato sarebbe seconda. E tutto grazie al carattere di questa Lazio, che la poesia la sta scrivendo, lentamente: “La squadra ha dato tutto, forse è mancato qualcosa nelle ripartenze. Loro sono una squadra consistente fisicamente, non è facile giocare contro la Juve, forse i ragazzi meritavano qualcosa in più“.
Il sottile rapporto tra dare tutto, e difficoltà dell’impresa. Sta tutta qua la serata della Lazio. Il merito di averci creduto comunque, nonostante scrivere questo verso sembrasse ai più perfino eretico, e resistere a questa Juve due volte più veloce, due volte più tecnica sembrasse ai più quasi una bestemmia. Reja sa, cosa vuol dire saper soffrire. Non voleva un catenaccio, voleva mettere in difficoltà la Juve. Sapeva che è ogni minuto sarebbe stato un sasso da portare in cima, con estrema lentezza, conscio che ad ogni passo corrisponderà fatica, ad ogni respiro dolore ai polmoni, ad ogni metro, spasmo muscolare. Ma sapeva anche, che anche solo per resistere agli impeti della squadra di Conte non bastava un fortino ben munito, ma il carattere per difenderlo, quello si, serviva: “Resta il fatto che abbiamo disputato una partita sofferta, i ragazzi meritavano forse il pareggio, per come hanno lavorato nel secondo tempo”. Lavorato. Laboro. Lavorare, che vuol dire in latino anche faticare, ottenere a prezzo di sudore e grinta quel che si vuole, quel che si desidera. E tutto è partito sul finire dell’estate, con il doppio vantaggio a Milano, 21′ minuti per conoscere Klose e Cissè. Carattere, voglia di uscire dai campi più difficili con punti. Primo punto, con l’attuale seconda potenza del campionato.
In rapida sequenza, a cascata. Con la Juventus due sconfitte, quella immeritata dell’andata, puniti dal solito Pepe, e quella targata Del Piero, a conti fatti, di stasera. E l’Inter, parecchio indietro, che pure al San Siro c’ha rimandato a casa a mani vuote, 2-1, e qualche strascico polemico. E poi lotta per la Champions, e la Roma, battuta due volte al 93′ da Klose, e poi ricacciata indietro da Mauri al minuto 62′ della giornata numero 26, il 4 marzo di quest’anno. E poi la lotta Champions, ed il Napoli, con il solito, e dicendo il solito attiriamo l’attenzione di Prandelli, che non è mai abbastanza, l’attenzione per questo portiere, Marchetti a salvare lo 0-0 all’andata, ed il solito, verrebbe da dire oramai, Mauri a rovesciare il risultato all’Olimpico. Gol da cineteca, e tre punti, Napoli fuori dalla corsa, azzoppato, prima dalla Lazio, e poi, sempre subendone 3, di gol, dall’Atalanta nella tana del ciuco, il San Paolo, stasera. In rapida sequenza, a cascata. E poi la lotta Champions, e l‘Udinese, che all’andata all’Olimpico il laziale Pinzi portò al pareggio, che stasera all’Olimpico ha perso, contro la Roma, rimanendo sotto di tre lunghezze, col rischio che a raggiungerla siano proprio i giallorossi. In ogni singola gara, se c’è stata una squadra debole, cioè col capo chino, ad accettare quel che doveva accettare non era la Lazio.
E cosi a Reja viene girata l’impressione di molti, che la continua pressione psicologica sull’arbitro con proteste reiterate, e facce dure, alla lunga abbia favorito la Juve, e risponde saggiamente, il tecnico: “È una tecnica efficace… Noi però preferiamo essere bravi e pensare a giocare“. Essere bravi. Che vuol dire essere coraggiosi, e avere tempra, disposizione naturale ad incassare, per poi fare male nell’unico buco che la guardia dell’avversario lascia scoperto. Cross di Scaloni, e gol di Mauri. Cross dalla sinistra, e rovesciata di Mauri. Dinamiche simili, squadre forti, forse anche costruite per essere più forti della Lazio, che alla fine devono chinare il capo, o quasi. Anche a chinare il capo stasera è stata la Lazio, perchè scrivere la poesia, è sempre difficile, e duro, la penna rimane intrappolata immobile sul foglio, troppo dura sembra la carta, o troppo dure le parole da scrivere, da portare sulla salita come macigni. Una Juve quasi imbrigliata, che vuole dire? Che i ragazzi di Reja, quei bravi ragazzi di Reja, che pensano a giocare, li stanno portando, questi massi in cima. La stanno costruendo, questa poesia. Una gara sofferta, un verso nuovo. E seppur sconfitti, anche stasera hanno scritto un verso, che dicesse a tutti chiaramente: la Juve quest’anno è più forte, forse anche la più forte di tutte, ma i deboli, non accettano sempre quel che devono accettare. A volte alzano la testa, e piazzano il colpo che fa tremare il colosso. Stasera non è stato il colpo decisivo, ma un altro verso è stato scritto, sulla strada che porta alla fine di questo campionato, dalla Lazio in sofferenza, ma mai doma di stasera: poesia dei deboli contro i forti, questo nostro catenaccio tutto italiano, a testa alta. Poesia dei deboli contro i forti, e nonostante tutto, poesia cantata ancora una volta dal terzo posto, finita un’altra giornata di campionato, a testa alta.
[Luca Capriotti – Fonte: www.lalaziosiamonoi.it]