Il contributo di solidarietà è uno dei nodi principali della protesta dei calciatori, oltre al rinnovo del contratto di categoria, che è sfociata nell’astensione dal giocare la prima giornata di campionato. Pianetagenoa1893.net ha chiesto al celeberrimo tributarista genovese Victor Uckmar, professore emerito nell’Università di Genova, docente presso l’Università LUISS e la facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli studi di Macerata, chiarimenti in merito.
Professore, quale idea si è fatta sulla diatriba Lega-Aic e sullo sciopero?
«Credevo che i calciatori fossero ridotti a uno stato di povertà. Invece, leggendo i giornali negli ultimi giorni, vedo che addirittura ricorrono allo sciopero per i loro problemi contrattuali. Inoltre, sono molto preoccupati del contributo di solidarietà che, stando alla formulazione attuale della manovra, colpirà coloro che superano i 90mila euro. Vuol dire che le mie impressioni erano infondate: dunque non sono dei poveracci, ma dei ricchi signori. Beati loro che ricevono salari al netto delle imposte!».
Ma tutto questo non deriva dal fatto che il lavoro dei giocatori sia considerato dipendente? Non sarebbe meglio un rapporto regolato secondo i principi della libera professione?
«Si discute molto al riguardo, ma trovo che ci sia ambiguità in merito. Quando fa comodo è dipendente per pagare è meno tasse, altrimenti è considerato autonomo. Io non capisco le motivazioni della protesta per gli allenamenti degli atleti fuori rosa: il datore di lavoro fa svolgere gli allenamenti nei modi opportuni nell’interesse dell’azienda».
I calciatori percepiscono in media stipendi elevati: ma non costituiscono una voce di spesa elevata sui bilanci delle società di calcio?
«Le difficoltà economiche dei club derivano in gran parte dall’alto costo del lavoro. Se vogliamo salvare il calcio, visto che non è possibile aumentare i ricavi, occorre tagliare i costi: quindi anche gli stipendi. Si deve perseguire una politica completamente diversa da quella attuale: si va all’inseguimento delle star del football, ma questo impatta in modo gravoso sui conti. E poi c’è la confusione riguardante la tassazione dei salari».
Ci faccia un esempio…
«I club con i giocatori stipulano un accordo che, intendiamoci, è di per sé lecito ma è un “pasticcio”, con cui ricevono un importo netto senza prelievo formale delle imposte. La società è dunque sostituto d’imposta che la prende a proprio carico: ovviamente ne terrà conto economicamente che le deve pagare. In altre parole, i calciatori ricevono un salario che non è decurtato dell’imposta: quest’ultima è una partita a carico della società. Bisognerà vedere se i club la versano effettivamente: ricordo l’incredibile episodio della Lazio che aveva ottenuto una rateazione in 23 anni. Quand’ero presidente della Covisoc risultava che il debito fiscale delle società era di oltre 500 milioni di euro: sarei curioso di sapere qual è la situazione attuale. Ricordo che se le società non pagano le imposte, i calciatori sono tenuti solidalmente a pagarle al fisco. Ma c’è di più: il calcolo degli adempimenti tributari sugli stipendi è svolto in modo non corretto».
E come avviene?
«Poniamo caso che il salario di un giocatore sia 100 e il prelievo è del 20%. Il calcolo dell’imposta non è su 100, come erroneamente si crede, ma è su 120. Riepilogando: il prelievo deve essere svolto sul salario più le imposte che la società si è presa a carico».
E veniamo al contributo di solidarietà: come potrebbe essere applicato?
«Ho letto che ciò desta grande preoccupazione tra i giocatori che dicono: “se spetta di pagarlo, lo facciano le società”. Ciò in base agli accordi di un salario netto dalle imposte vigenti nel momento in cui sono stati sottoscritti. Bisognerà però come sarà configurato questo tributo. Se sarà considerato come una variazione in più dell’aliquota Irpef, il giocatore che ha un contratto con cui riceve un compenso al netto delle imposte gravanti, il contributo dovrebbe rientrare tra quelli che assolve la società. Ma, ripeto, bisognerà vedere quale sarà la modalità di prelievo scelta dal legislatore».
Ci sono dubbi riguardo alla tassazione a cui sono sottoposti i giocatori, italiani e stranieri, che lasciano l’Italia dopo aver giocato: cosa ci può dire in proposito?
«I calciatori che hanno giocato per più di sei mesi nel nostro Paese hanno per legge la residenza fiscale in Italia. Dunque chi è stato nel nostro campionato nel 2011 dovrà pagare i tributi al nostro fisco dal 1° gennaio al 31 dicembre: sono assoggettati anche tutti i redditi prodotti in qualsiasi altra parte del mondo. Ad esempio il provento di una sponsorizzazione sottoscritta all’estero rientra nell’imponibile del giocatore e dovrà essere assoggettato al nostro sistema tributario. E’ il principio della world wide taxation: non c’è modo di scaricarla sul club di appartenenza. Mi lasci dire un’ultima cosa».
Prego…
«Non leggo finora nella lista dei dichiaranti i redditi i nomi di calciatori che percepiscono salari per milioni di euro».
[Marco Liguori – Fonte: www.pianetagenoa1893.net]