«E’ vero che ne ho persi quattro, quando allenavo la Roma, ma in classifica sono poi arrivato sopra la Lazio. E comunque con il mio gioco riempivo gli stadi». Una marlboro dopo l’altra, le pause sono abili e rispecchiano quelle del teatro, le risposte vanno dritte al cuore del problema. In un intervista rilasciata ad “Il Messaggero” a cura di gabriele De Bari,Zeman si dimostra sempre lo stesso, nessuno è mai riuscito a batterlo anche se ci hanno provato in tanti a cacciarlo dal suo mondo.
Perché è tornato in pista, rimettendosi in discussione?
«Il calcio è la mia vita e mi diverte ancora».
Nonostante tutto.
«Sì. Hanno fatto il possibile per rovinarmi la carriera e, almeno in parte, ci sono riusciti. Nei miei confronti c’è stato il veto, quello che mi ha impedito di allenare grandi squadre, come Inter e Juventus. Le intercettazioni hanno confermato che i sospetti che nutrivo corrispondevano a verità. In poche parole, me l’hanno fatta pagare».
Ci sono ancora troppe farmacie?
«Pensiamo e speriamo siano diminuite. Ma non esiste certezza».
Non le manca la serie A, che l’ha vista protagonista?
«Mi accontento della B. Basta un campo, una società e una squadra per fare calcio, in A spero di tornarci con il Pescara».
Che mondo ha ritrovato?
«I personaggi sono quasi sempre gli stessi, perciò è cambiato poco, mentre serviva un rinnovamento radicale».
I critici le rimproverano di aver vinto belle battaglie, però mai una guerra.
«Sono arrivato secondo e terzo in società che non erano certo abituate a vincere, portando tanta gente allo stadio. Una volta siamo finiti quinti con la Roma però ci hanno tolto una ventina di punti. Per me sono stati comunque dei successi. Oggi, purtroppo, sono bravi quelli che si piazzano dodicesimi».
Ha perso anche 4 derby in una stagione: questo record negativo le è pesato?
«A me no, forse ai tifosi. Si è detto tanto dei derby persi e non del fatto che sono arrivato
avanti alla Lazio in classifica. Dire che Zeman ha perso quattro volte consecutive fa notizia. E Reja allora?»
Pensa sempre che il derby sia una partita come le altre?
«Certamente. Per un allenatore è così, per la gente no».
Cosa le piace di questa sfida?
«Il pubblico e lo spettacolo, la partita meno perché solitamente è bruttina, domenica la guarderò in tv. E non mi piace l’attesa esasperata che condiziona i calciatori. La mattina di un derby vidi i calciatori bianchi in volto, alcuni erano stati minacciati in caso di sconfitta. Questo è troppo».
Chi stima di più come tecnico: Reja o Luis Enrique?
«Nessuno dei due».
Entriamo nel dettaglio, cominciamo dal friulano.
«Cambia troppo per i miei gusti».
Si dice che sia troppo antico nel gioco.
«In trent’anni da carriera non ha mai lottato per grandi obiettivi, ci sarà pure un motivo».
E lo spagnolo innovatore?
«Esagera nel possesso palla e, così facendo, tira poco in porta. E’arrivato da qualche emese, sta effettuando delle prove ed è alla ricerca di certezze, deve imparare tanto».
Chi vincerà domenica sera?
«Un pronostico è impossibile. Dico che la Lazio mi sembra più squadra e che si presenta meglio all’appuntamento, ma il pronostico resta comunque aperto. Conterà molto la voglia che avranno le squadre di aggiudicarsi la sfida».
Klose è la bella novità della Lazio.
«Il tedesco ha una grande carriera alle spalle, gli ha fatto bene riposarsi un po’ lo scorso anno».
E’ Osvaldo la novità della Roma.
«L’ho scoperto io, lo conosco bene. Lo vidi giocare in una gara Primavera fra Brescia e Atalanta e chiesi al Lecce di acquistarlo. Con me ha esordito, è un calciatore fisico e di Aveva limiti caratteriali perché litigava con arbitro e avversari. Una volta
È vero che litigava spesso con Boksic?
«Quando Alen torna a Roma, ci vediamo sempre. Boksic aveva grandi mezzi, ma non era continuo. Eppoi ogni singolo deve mettere il suo talento al servizio della squadra».
Per questo lo rimproverò dopo una grande azione a Lione?
«Gli feci solo notare che è difficile dribblare tre-quattro avversari e che sarebbe stato meglio servire un compagno smarcato. Da questo episodio è nata la leggenda che io e Alen litigavamo sempre».
Da allenatore anche due fallimenti.
«Belgrado e Istanbul, le uniche esperienze che non rifarei. Al Fenerbahce c’era il problema della lingua: io dicevo cinque parole e il traduttore parlava per mezzora, chissà cosa spiegava. Nella Stella Rossa non ho trovato professionalità da parte dei calciatori. Però tengo a precisare di non essere mai stato cacciato. Viste le situazioni, ho scelto io di lasciare».
Qual ‘è il più grande rimpianto della carriera?
«Non essere andato al Real Madrid. Allenavo alla Roma e sembrava che la trattativa potesse concretizzarsi, invece saltò tutto».
Chi è l’allenatore che più le somiglia in serie A?
«Nessuno, perché non propongono calcio».
Neppure Allegri ,che ha vinto lo scudetto?
«No, anche lui è un gestore. Come tutti gli altri».
Perché le sue difese subiscono tanti gol?
«Anche questa è una leggenda. Nella Lazio incassammo meno gol della Juve campione d’Italia, eppure si diceva che non lavoravo sulla difesa. Per due volte ho avuto la peggior difesa, per dieci il migliore attacco. Io gioco sempre per vincere e chi propone calcio rischia sempre di più e la gente è contenta di vedere lo spettacolo».
Fui il primo a scommettere su Giovinco.
«Lo vidi al Flaminio, in un torneo intitolato a Padre Pio. Mi colpirono le qualità di questo ragazzo, però i grandi osservatori dicevano che era troppo piccolo».
Su chi è pronto a scommettere ancora?
«Su Insigne e Gabbiadini».
Quali sono stati i presidenti con cui ha legato di più?
«Massimino, perché era divertente. E Cragnotti perché non interferiva mai».
Ma quasi tre pacchetti di sigarette al giorno non le fanno male?
«Non ci penso. Fumo per fame. Non lo faccio in panchina, negli spogliatoi, negli aeroporti. Ma recupero a casa. Una volta, a Napoli, un telecronista disse che stavo accendendo una sigaretta e nacque la favola di Zeman che fumava in campo. Una bugia colossale, perché non era una sigaretta, ma una caramella».
È ancora superstizioso?
«Non lo sono mai stato».
E quei riti prima delle partite?
«Erano superstizioni dei tifosi, non mie. Portavano delle caramelle e le accettavo, proseguono anche adesso».
Fino a quando continuerà a combattere in panchina?
«Non ho alcuna intenzione di ritirarmi. Finchè mi divertirò e ci sarà una società che mi affiderà una squadra, vedrete Zeman indossare la tuta. A dispetto di molti».
Ma non di tutti , perché Pescara l’ha accolto come un mito e adottato come un idolo.
[Alessandro De Dilectis – Fonte: www.lalaziosiamonoi.it]